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Padre Zollner: protezione dei minori, c'è più attenzione ma molta strada da fare

Il gesuita presidente del Centro per la protezione dell’infanzia della Pontificia Università Gregoriana e membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, ha aperto i lavori dell’evento “La protezione dell’infanzia e la prevenzione di tutte le forme di violenza” organizzato a Roma dall’Ufficio internazionale cattolico dell’infanzia (Bice), con la Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Nel campo della formazione degli operatori per protezione dei minori da ogni forma di violenza, nella Chiesa Cattolica, “c’è molta strada da fare”, manca ancora una vera competenza, che è indispensabile, perché “questa è una chiamata di nostro Signore che vuole che i più piccoli, i più indifesi siano protetti e che possano avvicinarsi con libertà e con questa fiducia in Lui che è propria dei bambini”. Lo ha sottolineato il gesuita padre Hans Zollner, presidente del Centro per la protezione dell’infanzia della Pontificia Università Gregoriana e membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, nel discorso d’apertura dell’evento “la protezione dell’infanzia e la prevenzione di tutte le forme di violenza” organizzato a Roma dall’Ufficio internazionale cattolico dell’infanzia (Bice), insieme alla Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane e alla Fondazione De La Salle solidarietà internazionale, nell’aula magna della Casa Generalizia dei Lasalliani.

La Convenzione sui diritti dell'infanzia compie 30 anni

Un evento che ha coinvolto numerose istituzioni, soprattutto di ispirazione cattolica, che si occupano di educazione e assistenza ai minori,  con lo scopo, ribadito da Alessandra Aula, segretaria generale del Bice e da fratel Gustavo Ramírez Barba, consigliere generale per l’Associazione e la Missione dei Fratelli De La Salle, “di presentare buone pratiche sulla protezione dell'infanzia, prevenire ogni forma di violenza e accompagnare i bambini e gli adolescenti vittime di violenza per sostenerli nella loro riabilitazione socio-familiare”. In occasione del 30° anniversario della Convenzione sui diritti dell’Infanzia, firmata il 20 novembre 1989, ha spiegato Alessandra Aula,  “è importante fare il punto sui progressi compiuti in termini di protezione dell'infanzia e di prevenzione di ogni forma di violenza in istituzioni di ispirazione cattolica che ospitano e accompagnano bambini e adolescenti e in altre istituzioni che condividono i nostri principi”.

Al termine della sua presentazione, abbiamo chiesto a padre Hans Zollner a che punto è, nella Chiesa e nelle istituzioni cattoliche, la protezione dell’infanzia e la prevenzione degli abusi.

Ascolta l'intervista a padre Zollner

R. - Certamente c’è molta strada da fare, dobbiamo impegnarci, come Chiesa, a partire dai leader di tutte le regioni fino a tutte le persone che sono responsabili nelle parrocchie, nelle scuole, nelle istituzioni della Chiesa e tutti i fedeli, perché questa è una chiamata di nostro Signore che vuole che i più piccoli, i più indifesi siano protetti e che possano avvicinarsi con libertà e con questa fiducia in Lui che è propria dei bambini.

Lei faceva notare, nel suo intervento, che a parte la buona volontà, è ancora molto scarsa proprio la formazione di chi dovrebbe prevenire i casi di abusi o comunque poi gestirli successivamente…

R. - E’ proprio questo il nostro lavoro, al Centro per la protezione dei minori alla Pontificia università gregoriana, che abbiamo iniziato 8 anni fa. Stiamo formando operatori specialmente per il lavoro del safeguarding, cioè della protezione dei minori che va oltre la pura difesa dei diritti ma che prepara tutte le persone coinvolte, le famiglie, le istituzioni e i bambini stessi affinché possano crescere in un mondo sicuro per loro.

Anche i bambini stessi quindi vanno preparati a riconoscere i rischi che possono esserci in un incontro con un adulto?

R. - Certamente, è anche una delle iniziative. che devono essere adatte all’età dei bambini. Ovviamente loro non sono quelli più responsabili per la loro sicurezza, perché non possono difendersi come un adulto, ma è anche una delle iniziative degli ultimi anni... Dobbiamo guardare a tutti quelli che vivono in questo campo e quelli che sono responsabili a diversi livelli.

Lei è anche membro della Commissione per la tutela dei minori della Santa Sede: a livello globale la situazione com’è? Ci si sta rendendo conto del problema e si sta cercando di affrontarlo in tutti gli aspetti?

R. - Io posso notare che specialmente negli ultimi anni - in particolare dopo l’incontro dei presidenti delle conferenze episcopali nel febbraio scorso, con i superiori generali, con i capi dicastero della curia romana, con i capi delle Chiese orientali - molta gente si rende conto della gravità della situazione e della chiamata del Signore di impegnarci a tutti i costi e senza restrizioni per la difesa dei bambini, dei più vulnerabili, delle persone che hanno più bisogno del nostro aiuto e sostegno.

Quanto possono essere utili Iniziative come questo evento, cioè di scambio di buone pratiche tra i vari enti cattolici che si occupano dei diritti dei bambini?

R. - Questa è una delle iniziative più belle perché molto spesso noto che le persone vivono in una specie di settore separato, anziché di comunicare e imparare gli uni dagli altri e poi anche fornire piani per una collaborazione in questo campo. Penso che la Chiesa possa offrire di più non solo all’istituzione e realtà ecclesiastica ma anche alla società, se possiamo trovare una strategia e un modo di operare comune.

Quali saranno le prossime iniziative del vostro Centro per la protezione dei minori dell’Università Gregoriana?

R. - Stiamo pensando all’introduzione di un corso, un diploma, non solo in inglese, come già offriamo da 5 anni, ma dal prossimo semestre del 2021 in spagnolo: abbiamo iniziato il corso della licenza, una licenza canonica, un grado accademico di secondo ciclo, per la protezione dei minori. E abbiamo anche una conferenza sulla teologia di fronte alla realtà degli abusi che stiamo preparando, e che avrà luogo in marzo. Penso che queste ultime iniziative avranno ripercussioni abbastanza forti.

Tre esempi di politiche di protezione dell'infanzia

Nel primo panel dei lavori, sono stati presentati tre esempi di politiche di protezione dell’infanzia in istituzioni per la tutela e l’accoglienza di bambini, bambine e adolescenti.  Fratel Angel Diego Garcia Otaola, direttore del Segretariato di solidarietà e sviluppo dei Fratelli Maristi, ha parlato dell’integrazione dei principi e dei protocolli maristi nel processo di sviluppo dei progetti in Africa, mentre don Daniel García Reynoso, dei Salesiani di don Bosco, coordinatore del settore delle opere e servizi sociali nel Dicastero per la pastorale giovanile, è intervenuto su “La protezione dei bambini e degli adolescenti nel carisma e la missione salesiana”.

L'intervista a Cristina Duranti (Good Shepherd Foundation)

Duranti (Good Shepherd): protezione in comunità in Sri Lanka

Infine Cristina Duranti, direttrice della Good Shepherd International Foundation, che sostiene i progetti di cooperazione e sviluppo delle Suore del Buon Pastore in 35 paesi nel mondo, per proteggere e promuovere in particolare i diritti delle ragazze, delle donne e dei bambini più vulnerabili, ha presentato il nuovo progetto attivato in Sri Lanka, per passare dalla cura istituzionale alla protezione del bambino in comunità. Ecco come lo ha descritto a Pope.

Ascolta l'intervista a Cristina Duranti

R. – Il progetto delle suore del buon pastore in Sri Lanka, supportato dalla Fondazione internazionale del buon pastore è partito da un’analisi approfondita dei rischi legati ai diritti umani dei bambini più vulnerabili, orfani, che vengono istituzionalizzati perché non hanno il supporto della famiglia e della comunità. Abbiamo riscontrato una forte incapacità delle comunità di accogliere questi bambini e anche un’impreparazione delle famiglie stesse a riaccoglierle nel momento in cui le istituzioni venissero chiuse o comunque modificata la modalità di accoglienza. Quindi il progetto che abbiamo avviato due anni fa si concentra su tre aspetti principali. Il primo è quello dell’educazione delle comunità e delle famiglie ai diritti dei bambini e all’idea che proteggere l’infanzia sia una responsabilità di tutti e in primo luogo dei bambini stessi che devono imparare ad auto-proteggersi e a riconoscere rischi e pericoli intorno a loro, all’interno della famiglia, all’interno delle istituzioni e all’interno della società e a prevenirli. E’ una responsabilità delle famiglie che devono diventare più consapevoli di quelli che sono i diritti fondamentali dell’infanzia e di chi è titolato a proteggere questi diritti e a promuoverli. E’ sicuramente una grande responsabilità della comunità e delle istituzioni della comunità di creare consapevolezza e creare le condizioni strutturali perché i bambini vivano in condizioni di sicurezza.

Abbiamo mobilitato la comunità, in particolare stiamo sperimentando questo metodo, questo approccio focalizzato sui diritti e basato sulla comunità in cinque zone dello Sri Lanka interessate dalla piaga del lavoro minorile nelle piantagioni del tè. Non è stato semplice accedere a questi villaggi, entrare in contatto con i leader delle comunità e anche con i proprietari delle grandi piantagioni che ovviamente non vedono di buon occhio iniziative di questo tipo ma siamo riusciti con la capacità delle suore anche di entrare in relazione anche da un punto di vista umano e da un punto di vista di fiducia con le comunità stesse ad avviare questo processo. Quindi innanzitutto creando quelli che chiamiamo safe spaces: luoghi e spazi di sicurezza per i bambini in cui i bambini possano essere bambini e avere accesso a tutto quello di cui hanno bisogno per il loro sviluppo secondo l’età, l’istruzione, la nutrizione adeguata, la salute e il gioco, la ricreazione all’interno di un ambiente protetto e sicuro.

Lavoriamo poi con le famiglie, per portarle ad educare i bambini utilizzando delle modalità rispettose e non metodi di punizione corporale che purtroppo sono ancora molto diffusi soprattutto in zone in cui l’educazione dei genitori non è adeguata. Abbiamo lavorato molto anche sulle cause del problema dello sfruttamento dei bambini, che sono legate soprattutto in questi contesti alla povertà, quindi creando piccoli gruppi di autoaiuto tra le donne per formarle ad avviare piccole attività economiche che possano integrare le entrate della famiglia ed evitare che i bambini vengano inviati a lavorare per compensare questa perdita. Poi un lavoro con i leader delle comunità per far sì che agevolino questi percorsi di questi processi e che garantiscano i diritti di base dei bambini all’istruzione, alla nutrizione e alla sanità.

E’ un anche un cambio di mentalità per le Suore del Buon Pastore…

R. - Il carisma del Buon Pastore è un carisma di protezione e di sostegno ai più vulnerabili, in primo luogo alle ragazze e alle donne. In Sri Lanka in particolare le suore si occupano da decenni di istruzione di protezione dell’infanzia di quelli che erano gli orfanotrofi in un Paese in cui non c’è stata una riforma di queste istituzioni come è avvenuto nel resto del mondo. Anche in questo Paese stanno facendo passi avanti, c’è stato un cambiamento delle leggi e quindi queste istituzioni si stanno adeguando. Per le suore anche è un grande cambiamento, quindi un cambiamento che richiede formazione all’interno perché come dicevamo non è lo stesso gestire un’istituzione chiusa nella quale il primo scopo è proteggere mantenendo all’interno di una struttura con quello invece di gestire il lavoro con una comunità che è basato invece sulla capacità di mobilitazione, di motivazione e di advocacy. Sono competenze e profili molto diversi. La congregazione si è impegnata molto nell’investire in termini sia di risorse umane che di formazione proprio in questa linea: per rendere concreto l’impegno a livello internazionale a integrare in maniera davvero profonda spiritualità con diritti umani, impegno a costruire una società fondata sulla giustizia e la pace.

L'intervista a Maria Camila Caicedo (Bice)

Caicedo (Bice): il "Granello di sabbia", video per i ragazzi

Protagonisti del secondo panel di interventi, quattro esempi di buone pratiche sul campo per prevenire tutte le forme di violenza e sostenere i minori vittime di violenza. María Camila Caicedo, program manager del Bice, ha presentato la metodologia del "Granello di sabbia" per prevenire la violenza, attivata in Cile, Paraguay, Perù e Uruguay. Così ne ha parlato a Pope.

R.- L’Ufficio internazionale cattolico dell’infanzia ha realizzato un metodo che si chiama “Il Granello di sabbia”, per la prevenzione della violenza che si può applicare in diversi spazi dove i bambini, i ragazzi partecipano, come le scuole e i centri comunitari. Questo metodo ha come base un film che presenta diverse forme di violenza come la violenza sessuale, il cyberbullismo, la violenza nelle coppie di adolescenti e la violenza intrafamiliare. Questo film vuole mostrare ai giovani come si può fare di fronte a questi tipi di violenze. Questo film serve per sensibilizzare con i giovani in un workshop dove possiamo parlare con loro, dire quali sono i tipi di violenza, come possiamo rispondere e come confidare a qualche adulto di riferimento il proprio problema. Il progetto è più ampio perché formiamo anche gli adulti di riferimento per i bambini, che devono anche sapere come ascoltare, affrontare, come orientare il bambino e come orientare verso altri servizi, come conoscere anche qual è la rete di protezione del ragazzo o la ragazza. Un’altra parte di questo programma è dedicata ai ragazzi che non hanno la possibilità di pagare per andare dallo psicologo per un esame medico: nel caso per esempio di un abuso sessuale, il Bice può anche aiutare con il suo fondo di assistenza. C’è anche una parte di prevenzione con le famiglie e facciamo anche campagne di sensibilizzazione sul tema della violenza.

Dopo l'incontro e la visione del video, si lascia qualcosa ai bambini, in modo che a casa possano avere un promemoria di quello che hanno visto e dei numeri eventualmente da chiamare se hanno bisogno di aiuto?

R. - Ci sono differenti documenti con informazioni sui servizi o numeri ai quali chiamare. Ci sono fumetti basati sulle diverse scene di violenze mostrate nei film e loro possono così ricordare. Ci sono tutte le informazioni per ogni caso di violenza.

Si può già parlare di primi frutti dei nostri progetti?

R. - Un primo risultato è che vediamo parlare, confidarsi, giovani che non parlavano a scuola dei problemi. In generale la violenza è qualcosa di naturale per molti bambini e ragazzi, in questi paesi latinoamericani. Questo progetto ha permesso a loro di parlare e identificare situazioni in cui possono trovarsi e anche le scuole hanno voluto integrare questa metodologia, perché hanno visto che ha un risultato tra gli studenti. Gli adulti di riferimento ci ringraziano perché non sapevano come rispondere alle situazioni di violenza, si sentivano soli e non conoscevano i protocolli di protezione per rispondere alle situazioni di violenza.

Matulli (La Salle): progetti intercongregazionali in Kenya, Sud Sudan e Haiti

Interventi successivi quelli di Emanuele Montemarano, avvocato della Federazione delle Scuole Cattoliche d’Italia e del Catholic National Commission of Education, di Albania, sulle iniziative adottate nelle scuole cattoliche italiane e albanesi per la tutela dell'infanzia e dell'adolescenza, e di Cristina Castelli, direttrice dell’Unità di ricerca sulla resilienza, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sul ruolo del tutore di resilienza nel sostegno ai bambini vittime di violenza in diversi contesti. Quindi Angela Matulli, direttrice associata per lo sviluppo della Fondazione De La Salle Solidarietà Internazionale, ha spiegato come promuovere esperienze inter-congregazionali per la promozione dei diritti di bambini e adolescenti. Ne parla così ai nostri microfoni.

Ascolta l'intervista ad Angela Matulli

R. – Per noi come Fondazione De La Salle Solidarietà internazionale i progetti intercongregazionali sono i progetti che possono meglio rispondere in maniera efficace alle sfide di oggi. Per esempio in Kenya i nostri fratelli sono insieme ad altri 13 congregazioni nello sforzo dell’Intercongregational Steering Committee on child protection che è diventato riferimento per diverse diocesi e che collabora anche con istituzioni del Paese in termini di formazione del persone laico e religioso, di monitoraggio, valutazione di misure di prevenzione e prevenzione dei bambini; inoltre e oltretutto membri dello Steering Commitee del Kenya si sono recati in Sud Sudan -anche un fratello delle Scuole cristiane - per dare la donazione allo staff e agli studenti di Solidarity with South Sudan e della nostra nuova scuola a Rumbek. Più di cento allievi e più di venti adulti di riferimento sono stati formati in Sud Sudan dai colleghi del Kenya.

Un’esperienza che poi vi ha portato ad un altro progetto ad Haiti …

R. - Sì, ad Haiti come fondazione De La Salle, insieme al Bice e all’associazione Real Monte abbiamo coinvolto i fratelli maristi e le sorelle Hermana Azules nella formazione di tutori di resilienza. È il secondo anno di progetto appena terminato, andiamo per il terzo, perché la situazione di vulnerabilità di bambini e dei giovani di Haiti lo richiede. Il nostro impegno si rinnova ogni giorno, c’è molto da imparare come abbiamo visto oggi pomeriggio qui al convegno.

È anche importante dare risposte intercongregazionali a queste sfide sulla tutela dei minori, perché sono risposte più forte...

R. - Noi crediamo fermante che l’impatto che si ha lavorando in rete sia condividendo buone pratiche sia condividendo ricerca con uno sforzo di advocacy molto più coordinato sia una ricchezza e ci porti ad un successo maggiore, sempre guardando all’obiettivo finale che è il benessere dei bambini e bambine adolescenti.

Aula (Bice): dare ai bambini i contatti con una rete di sicurezza

In conclusione, Alessandra Aula del Bice ha affermato che “ogni istituzione dovrebbe essere in grado di rispondere adeguatamente al contesto e di disporre di strumenti di prevenzione e protezione dell'infanzia, come linee guida, politiche di protezione, manuali di formazione per formatori, ecc. Inoltre, occorre fare in modo che ogni bambino riceva informazioni in funzione del suo stadio di sviluppo, in modo da essere nella posizione migliore per affrontare i rischi di violenza e per identificare la sua rete di sicurezza”

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L' evento a Roma sulla prevenzione delle violenze sull'infanzia
31 ottobre 2019, 15:12