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Orizzonte in tramonto Orizzonte in tramonto 

Politica e spiritualità: davvero un binomio paradossale?

Il dubbio sulla inconciliabilità fra spirito e impegno politico emerge dalla lettura del breve ma denso saggio di Luciano Manicardi, priore della Comunità di Bose, presentato a Roma, nella parrocchia san Pio X. Il confronto fra i due mondi mette in luce la disaffezione dell’uomo contemporaneo al confronto con gli altri e anche con se stesso

Laura De Luca – Città del Vaticano

“Dobbiamo aiutare i politici a essere onesti, a non fare campagna con bandiere disoneste – la calunnia, la diffamazione, gli scandali… E, tante volte, seminare odio e paura: questo è terribile. Una politica, un politico mai, mai deve seminare odio e paura. Soltanto speranza”. Così Papa Francesco il 2 giugno di quest’anno, nella dalla Romania.

La disaffezione delle masse alla politica deriva forse dall’incapacità dei gestori della cosa pubblica di “riempire”  il loro impegno di passione, di significato, in una parola di spirito. Ma anche i singoli individui, disabituati a guardarsi dentro, risultano sempre più incapaci a guardare fuori, a condividere cioè impegni e obbiettivi, a pensare in solido col resto della loro comunità.

Questo il senso del denso saggio di Luciano Manicardi, priore di Bose dal 2017, dal titolo Spiritualità e politica, edito da Quijon, casa editrice della stessa Comunità. Chiediamo al priore se non è strano che politica e spiritualità da un lato appaiano estremi inconciliabili (Gesù stesso si dissociò dall’uso politico del suo annuncio: date a Cesare….) e nello stesso tempo appaiano anche inevitabilmente fusi insieme? Infatti fu proprio lo Spirito a rendere i singoli apostoli una vera comunità, capace di incidere fattivamente sul resto del mondo:

Ascolta l'intervista a Luciano Manicardi

R. - Scontiamo in questo un certo degrado nell’immaginario che noi abbiamo della politica, un immaginario che forse è anche dovuto ad una pratica politica che si è allontanata da certi livelli di cultura e di nobiltà della politica stessa. Per cui ci sembra difficile conciliare una parola alta e profonda come “spiritualità” a una parola come “politica” che oggi è considerata – mi perdoni l’espressione – sporca. Quando invece si va al concetto di spiritualità in senso lato e laico come vita interiore, capacità di assumere, maturare delle convinzioni che portano a scelte, a decisioni, dunque ad azioni, è evidente che questa che è la vita interiore, come nucleo originante, come scaturigine di una vita spirituale, è virtù del cittadino ed è indispensabile…

Se la politica si è corrotta anche noi cristiani ci siamo un po’ intorpiditi, le pare? Questa insistenza sul recupero della dimensione interiore non dovrebbe essere un meccanismo naturale? In fondo è la testimonianza cristiana che ci ha fatto scoprire il valore dell’individualità e quindi dell’interiorità … Pensiamo per esempio ai primi martiri. Che cosa ha esasperato il rapporto anche in questo caso fra pubblico e privato?

R. - Credo che oggi, sul tema dell’interiorità, scontiamo il fatto che più che mai siamo gettati fuori da noi stessi da una quantità di stimoli che sono semplicemente ingestibili. Siamo sommersi da un diluvio di informazioni quotidiane che nemmeno riusciamo a comporre interiormente, facendole diventare conoscenze e men che meno facendole diventare sapienza. Rischiamo di annegare nella superficialità in cui siamo gettati dalle troppe cose, troppi stimoli, troppe immagini, troppe parole che ci raggiungono, e non riusciamo a mettere in atto quella distanza, quella presa di distanza che esige del tempo, che esige la forza di sostare con se stessi – e non è facile –, quindi una forza di silenzio, di solitudine. Questo ci può anche far sentire inutili, quasi morti, ma  in questo silenzio e questa solitudine, possiamo riuscire a toccare delle corde interiori e quindi nutrire una vita interiore. Credo che oggi questo sia particolarmente difficile perché, più che in altri momenti, siamo gettati fuori dalle troppe occasioni, dai troppi stimoli che ci inondano e sommergono quotidianamente. Una superficialità – mi verrebbe da dire - in cui si annega, perché non è nella profondità che si annega, ma nella superficialità.

Un’ultima domanda. Ritirarsi in un monastero è un atto, più spirituale o più politico? Penso alla storia di Bose, in realtà. Cosa è stato? Un atto più politico, in quegli anni così politici in fondo, o più spirituale, in quegli anni così aridi da questo punto di vista …

R. - È un gesto che deve rispondere alla verità di una persona, altrimenti … È stato un gesto di obbedienza al Vangelo. Chi ha iniziato questa vita vi è andato obbedendo al Vangelo e allo spirito del Vangelo. La dimensione spirituale era insita in questo, la dimensione politica era insita in questo; ciò va detto in modo chiaro. Direi che sono già secondari sia l’aspetto spirituale che l’aspetto  politico; è stato un atto di obbedienza al Vangelo, di obbedienza creduta al Vangelo. Chi ha iniziato quell’avventura ha creduto - e il tempo successivo lo ha confermato - che ciò che faceva era dare forma concreta, vissuta, spirituale e politica, ad un’istanza evangelica.

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25 ottobre 2019, 12:00