Shevchuk: i greco cattolici ucraini testimoni di unità nel mondo di oggi
Giada Aquilino - Città del Vaticano
Essere “testimoni di unità, sia verso i fratelli ortodossi, sia verso i latini”. Così Sua Beatitudine Svjatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore di Kiev-Haly?, ha inquadrato i frutti del Sinodo delle Chiesa greco cattolica ucraina conclusosi ieri a Roma sul tema: “Comunione nella vita e nella testimonianza”. In una conferenza stampa stamani a Palazzo Pio, alla vigilia anche dell'incontro dei vescovi delle Chiese orientali cattoliche in Europa, il capo della Chiesa greco cattolica ucraina ha parlato dei lavori svoltisi alla presenza di tutti i vescovi di tale realtà di rito orientale nel mondo, una cinquantina, e degli incontri con il Papa - che a luglio aveva riunito in Vaticano lo stesso arcivescovo maggiore insieme ai metropoliti e ai membri del Sinodo Permanente - e con i rappresentanti della Curia romana. Un momento speciale, di “grande affetto”, ha confidato, quello della visita ieri al Papa emerito Benedetto XVI, raggiunto al Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano da Sua Beatitudine Shevchuk accompagnato dai metropoliti: di fonte alla “frammentazione” di oggi, l’incitamento di Joseph Ratzinger è stato proprio quello all’unità, ha riferito l’arcivescovo maggiore parlando anche della “preoccupazione” del Papa emerito per la “militarizzazione delle frontiere nell’Europa orientale”.
Diversità e ricchezze
“Siamo una chiesa globale” che, in questi giorni a Roma, si è confrontata - ha ricordato il capo della Chiesa greco cattolica ucraina - su “diversità e ricchezze” per fare comunione, con uno sguardo ad intra, sulle “sfide di oggi”. Sollecitato dai giornalisti, ha affrontato il tema della crisi delle vocazioni, una “sfida per tutti”, che non si risente tanto in Ucraina - Shevchuk ha precisato che ci sono “5 seminari” in attività - quanto “in altri Paesi”, nel momento della riflessione sui “viri probati”, sulla possibilità che anche i laici sposati possano cioè diventare sacerdoti, seppure in particolari condizioni. Lo sguardo ad extra ha portato l’attenzione sui rapporti con le altre Chiese, perché l’ecumenismo “fa parte della missione” dei greco cattolici ucraini. Lo sguardo, quando si fa cenno anche alla questione dell’autocefalia, volge alla Chiesa ortodossa che “è alla ricerca di unità”: per questo Shevchuk evoca una via per superare la “frammentazione”, quella della “conciliarità” in una dimensione non locale - una Chiesa locale che si chiude “in sé” si smarrisce, ha notato - ma universale.
Il conflitto nell’est dell’Ucraina
Quindi, non ultimo, il pensiero all’Ucraina insanguinata da oltre 5 anni di conflitto nelle sue regioni orientali, “la più grande catastrofe umanitaria dalla Seconda Guerra mondiale”, ribadisce. Una visita di Francesco nel Paese, ripete l’arcivescovo maggiore come aveva fatto anche qualche mese fa, “potrebbe realmente far cessare la guerra”: il Sinodo ne ha parlato a Roma con il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, tenendo presenti le “condizioni” per realizzarla e la sensibilità “della più grande Chiesa in Ucraina, quella di Mosca”. L’Ucraina è un “grande Paese”, ma “è il più povero d’Europa”, che rischia inoltre una catastrofe ecologica proprio a causa delle armi: una realtà, dunque, che coinvolge “tre sensibilità del Papa”, quella verso i poveri, verso la difesa del Creato e per la pace. Oggi “tutto il mondo sta cercando una soluzione diplomatica alla guerra”, assicura, perché quella militare “non esiste”. “Siamo felici”, ha proseguito, per il recente scambio di prigionieri tra Russia e Ucraina, definito dalla Nato un passo nella giusta direzione verso la riconciliazione. Come Chiesa, rivela, “abbiamo collaborato a tutti i livelli”, lavorando per il “bene delle persone”, dei “prigionieri di guerra”, dei familiari rimasti a casa: imploriamo, ha concluso, che “tutti gli ostaggi tornino a casa”, perché la vita umana non è una “merce” di scambio.
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A Pope, Sua Beatitudine Svjatoslav Shevchuk ha voluto sottolineare cosa significhi la “realtà concreta dell’unità”.
R. – La riflessione del Sinodo riguarda il modo di aprire le comunità locali alla realtà globale della nostra Chiesa. Ad esempio, ho fatto una domanda, un po’ sulla scia di San Paolo: “Può una eparchia degli Stati Uniti dire al nostro esarcato di Donetsk ‘non mi interessa il tuo dolore’?” Ovviamente no, perché quando un membro soffre, soffrono tutti. E in ciò noi abbiamo visto veramente la solidarietà interna della Chiesa, la capacità di soffrire con chi soffre e di condividere i doni: questa è la nostra realtà concreta dell’unità.
Lei ha sottolineato che tale testimonianza di unità può andare nella direzione dei fratelli ortodossi ma anche nella direzione dei fratelli latini. Cosa vuol dire?
R. – Penso che tutti noi, sia cattolici sia ortodossi, siamo di fronte a una cultura della frammentazione, una frammentazione della nostra esperienza e della società. E questo anche a livello di Chiesa porta nuove sfide verso l’unità, perché c’è sempre il rischio dell’assimilazione, della secolarizzazione e quindi dell’allontanamento non soltanto da un centro ecclesiastico, ma da Dio stesso. Il nostro punto centrale è la capacità di amare l’altro: se io non sono più capace di amare Dio e il prossimo, allora non sarò capace di creare l’unità.
In un momento particolare per l’ortodossia, qual è il messaggio?
R. – Noi proviamo una grande empatia per gli ortodossi, perché siamo eredi della stessa tradizione, condividiamo la stessa liturgia, la stessa spiritualità. Noi soffriamo il fatto della divisione tra cattolici e ortodossi, il fatto della loro divisione interna e vogliamo collaborare per sanare queste ferite ed essere testimoni dell’unità, perché l’unità è possibile, è bella, vale la pena di viverla.
L’incontro con Francesco. Lei ha ricordato che generalmente, in occasione dei Sinodi, inviate dall’Ucraina delle “lettere di comunione” con il Papa. Questa volta siete stati a Roma, con il Pontefice. Qual è stato l’incitamento, ricordando l’invito del Papa a seguire la via dello Spirito Santo?
R. – Il Papa ci ha sottolineato che la vicinanza alle persone, la capacità di creare relazioni interpersonali è fondamentale. E questa relazione è possibile soltanto nel contesto dell’opera, della presenza dello Spirito Santo.
Con i metropoliti avete avuto occasione di far visita anche a Benedetto XVI. Lei ha riferito che dal Papa emerito c’è stato un incoraggiamento, ma pure un segnale di preoccupazione: perché?
R. – Un segno di incoraggiamento perché abbiamo voluto dimostrare il nostro affetto verso la persona. La preoccupazione del Papa emerito era riguardo al fatto che adesso si avverte una “militarizzazione” delle frontiere dell’Europa orientale, un segno preoccupante che oggi il mondo anche politico spesso ricorra alle armi e non al dialogo, che è la relazione interpersonale umana.
In questi giorni c’è stato uno scambio di prigionieri tra Russia e Ucraina, la Nato ha parlato di un passo nella giusta direzione. Come leggerlo?
R. – Noi abbiamo vissuto questo passo dal punto di vista pastorale, abbiamo sofferto con i prigionieri e gioito per la loro liberazione. Speriamo che alche gli altri prigionieri possano essere liberati, perché la vita umana non può essere merce di scambio, un oggetto del gioco diplomatico e politico: tutti noi dobbiamo cercare il bene della persona umana e così avremo il fondamento per un mondo futuro giusto.
Come la Chiesa greco-cattolica ucraina ha collaborato in qualche modo a questa liberazione, a questo scambio di prigionieri?
R. – Abbiamo cercato di usare tutti i contatti, tutte le relazioni che avevamo, anche a livello internazionale, anche a livello della comunione con il Successore di Pietro, attraverso la solidarietà cattolica universale. Abbiamo cercato di mettere tutto quello che siamo, che possiamo al servizio della persona, affinché questi ostaggi potessero essere liberati.
Ogni volta che incontrate Papa Francesco, ha ricordato, lo invitate in Ucraina: “l’Ucraina lo aspetta”, è stato ribadito. Durante il vostro incontro di luglio, il Papa stesso ha ricordato la colletta per l’Ucraina e ha incitato a nuove iniziative speciali per il Paese. Se n’è parlato durante il Sinodo e con Francesco?
R. – Certamente, in varie occasioni abbiamo voluto ringraziare Papa Francesco per la sua iniziativa, anzitutto per mettere al centro dell’attenzione della Chiesa in Europa e in tutto il mondo la sofferenza del popolo ucraino. Anche in questo incontro, il nostro vescovo di Kharkiv, che adesso è davvero al servizio di tanti sfollati, ha ringraziato nuovamente e personalmente il Papa per l’azione umanitaria de “Il Papa per l’Ucraina”.
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