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Il card. Cláudio Hummes Il card. Cláudio Hummes 

Sinodo Amazzonia: card. Hummes intervistato su Civiltà Cattolica

Padre Antonio Spadaro, gesuita e direttore della rivista “La Civiltà Cattolica” ha intervistato il relatore generale del Sinodo Speciale per la regione panamazzonica, che si terrà a ottobre

Eugenio Murrali - Città del Vaticano

“Il Sinodo dell’Amazzonia è un grande progetto ecclesiale, che cerca di superare i confini e ridefinire le linee pastorali, adattandole ai tempi contemporanei”, padre Antonio Spadaro riassume così il senso della prossima assemblea dei vescovi, introducendo l’approfondita intervista al cardinale Cláudio Hummes, comparsa oggi sulla “Civiltà Cattolica”, alla vigilia della riunione del Consiglio pre-sinodale che si terrà domani in Vaticano. L’arcivescovo emerito di San Paolo, nel suo dialogo con il gesuita, ha esposto i momenti forti della preparazione del Sinodo e gli obiettivi che emergono già dal documento preparatorio pubblicato lo scorso 8 giugno 2018: .

Il cardinale Cláudio Hummes

Papa Francesco ha nominato il cardinale Cláudio Hummes relatore generale del Sinodo, vicino a lui altra figura centrale dell'assemblea è il cardinale gesuita peruviano Pedro Barreto, arcivescovo di Hauncayo. I due porporati sono rispettivamente presidente e vicepresidente della Repam, Rete Ecclesiale Panamazzonica, nata per coordinare l’azione delle singole conferenze episcopali nel vasto territorio, che abbraccia 9 Stati.
Nominato nel 2006 prefetto della Congregazione per il clero da Papa Benedetto, oggi Hummes è presidente della Commissione per l’Amazzonia della Conferenza episcopale del Brasile.

Il Sinodo e l’unità della Chiesa

Padre Spadaro ha aperto l’intervista interrogando il cardinale sul timore di chi pensa che il prossimo Sinodo possa avere ripercussioni sull’unità della Chiesa. Per mons. Hummes è necessario pensare una “unità che accoglie la diversità, secondo il modello della Santissima Trinità” e dà una suggestiva definizione della diversità come “ricchezza dell’unità”. Venendo ai Paesi della Panamazzonia afferma che essi “sono un’espressione della diversità latinoamerica, che dev’essere accolta senza remore e con grande apertura dalla Chiesa d’Europa e di tutto il mondo”. Nel Sinodo dell’Amazzonia il cardinale vede il riconoscimento di una peculiarità della Chiesa dell’America Latina che può “apportare nuove luci alla Chiesa europea e del mondo, così come la Chiesa Europea deve darci luci antiche, molto importanti”. Non basta più il processo di inculturazione del cristianesimo locale nella cultura europea: una sola cultura non può esaurire la ricchezza del Vangelo.

Sfide e speranze del processo sinodale

Lo scorso 25 febbraio, la Rete Ecclesiale Panamazzonica, Repam, ha avuto un incontro con il Pontefice e ha potuto riferire il lavoro svolto fino ad oggi. Nella fase preparatoria, “la nostra rete ha davvero cercato di 'ascoltare' e non soltanto di 'vedere, giudicare, agire' ”, ha osservato mons. Hummes, che ha anche sottolineato che per preparare un Sinodo non basta solamente “organizzare e fare piani”. I primi a dover esser ascoltati sono naturalmente i popoli dell’Amazzonia. “Questo sforzo ha molto arricchito, a livello metodologico, il nostro vedere, giudicare e agire”, ha dichiarato l’intervistato.

Le indicazioni del Papa

Durante l'incontro con la Repam, il Papa si è raccomandato di non “annacquare" l’obiettivo specifico del Sinodo. L’obiettivo è l’Amazzonia: "Nuovi cammini per la Chiesa" significa infatti nuovi cammini per la Chiesa in Amazzonia. La tentazione potrebbe essere quella di parlare di tutto, de omni re scibili et quibusdam aliis, perdendo di vista lo scopo concreto.

Guardare avanti

“Non andremo certo al Sinodo per ripetere quello che è stato già detto per quanto importante, bello e teologicamente significativo!”, ha risposto con nettezza il card. Hummes alla domanda di padre Spadaro sull’opportunità di non riproporre il passato sottolineata da Papa Francesco. Spiega il presule: “Dobbiamo evitare di portarci appresso ciò che è vecchio, come se fosse più importante di ciò che è nuovo” e ha richiamato l’importanza di “avere fiducia nello Spirito, che ci fa procedere”, perché il passato deve fare sempre parte “di una tradizione che si muove verso il futuro".

Il passato e l’eredità coloniale

“Il Papa denuncia ogni forma di neocolonialismo ed esorta la Chiesa a non viverne lo spirito e la pratica nella sua missione evangelizzatrice”, non ha dubbi mons. Hummes, che rispondendo a una domanda sull’eredità coloniale ricorda che “l’atteggiamento coloniale è stato pure una delle recriminazioni più significative dei popoli indigeni verso certe comunità pentecostali protestanti”.

Dio e le popolazioni indigene

Ogni tipo di inculturazione della fede e di dialogo religioso devono partire dal fatto che “Dio è sempre stato presente anche nei popoli indigeni originari”. Il cardinale spiega che se tutti “hanno avuto una storia in cui c’era Dio”, tuttavia noi “cristiani crediamo che Gesù Cristo sia la vera salvezza e la rivelazione definitiva che deve illuminare tutti gli uomini”. Ciò significa che, quando accolgono il messaggio di Gesù Cristo, questi popoli devono poter esprimere la loro fede attraverso la loro “cultura, identità, storia e spiritualità”.

Resistenze sulla via del Sinodo

Alla domanda di padre Spadaro sulle resistenze che la nuova visione della Chiesa indigena sta generando, l’intervistato risponde che alcuni “se ne sentono in qualche modo minacciati, perché ritengono che non verranno rispettati i loro progetti e le loro ideologie. Soprattutto quei progetti di colonizzazione dell’Amazzonia animati a tutt’oggi da uno spirito di dominio e di rapina”. Mons. Hummes si sofferma poi sul concetto di sostenibilità, per cui l’azione dell’uomo “non deve impedire alla terra di rigenerarsi e di restare fertile e salubre”. Dall’intervista emerge che a creare queste resistenze sono gli interessi economici e il paradigma tecnocratico.

Un dialogo possibile?

“Non possiamo cadere nel pensiero ingenuo secondo cui tutti sono disposti a dialogare”, su questo non si fa illusioni il relatore generale del Sinodo. Sarà quindi necessario prima “indignarci, profetizzare” e poi certamente “negoziare, trattare”. Secondo il cardinale non si può avere però un atteggiamento accomodante, perché “la situazione è clamorosa e mostra una costante e persistente violazione dei diritti umani e una degradazione della casa comune”. La Chiesa dovrà necessariamente essere profetica ed essere profetici significherà arricchire uno spirito di denuncia e di dialogo “con un po’ più di tenerezza”.

Inculturazione vs interculturalità?

Padre Spadaro ricorda che alcuni contrappongono l’inculturazione, cioè l’immersione nella cultura, e l’interculturalità, cioè il dialogo tra culture. Secondo mons. Hummes queste due istanze non sono in contrasto, tuttavia, ma anzi sono entrambe necessarie e vanno coniugate considerato il numero di culture differenti presenti in Amazzonia.

Il lavoro del CIMI

Nel corso dell’intervista viene riconosciuta la centralità del lavoro svolto dal Consiglio Indigenista Missionario, il CIMI. Quest’organismo offre un imprescindibile e ricco panorama di dati sull’ingiustizia, sulla violazione dei diritti umani, sugli assassinii, sulla criminalizzazione dei difensori dei diritti. Questa attenta fotografia della realtà mette in difficoltà alcuni governi e chiunque abbia interessi sul territorio. “Il CIMI in Brasile ci ha aiutato molto a essere una Chiesa indigenista, che difende i diritti degli indigeni e non soltanto degli indigeni”, osserva il cardinale, e aggiunge: “Ci sentiamo chiamati a essere una Chiesa che difende i diritti umani, che difende i diritti indigeni, quelli dei ribeirinhos, le popolazioni rivieresche, e di altri”.

Verso una Chiesa indigena

Un passo ulteriore e necessario, secondo il relatore generale del Sinodo, sta nel superamento di una Chiesa indigenista e nella promozione di “una Chiesa indigena per i popoli indigeni”. La fede delle comunità aborigene che accolgono il Vangelo deve poter “incarnarsi e inculturarsi nella loro realtà tradizionale”. Bisogna “generare una Chiesa dal volto indigeno” immersa nel contesto della loro “cultura, identità, storia e spiritualità”.

Quale ministero per una Chiesa indigena?

Padre Spadaro affronta con mons. Hummes anche il delicato tema del ministero sacerdotale all’interno di questa realtà. Secondo l’intervistato il ministro deve essere adeguato ai bisogni della sua comunità, poiché “la comunità non è per il suo ministro, ma il ministro è per la sua comunità”. Bisognerà dunque prevedere “ministeri differenziati”, non si potrà difendere “una sorta di figura storica a cui un ministro deve attenersi”. Il presidente della Repam non ha dubbi: “La Chiesa indigena non si fa per decreto”.

L’ecologia integrale

A partire dall’ Enciclica “Laudato si’”, il direttore della “Civiltà Cattolica” richiama il tema dell’ecologia integrale. Per Hummes essa è una “realtà meravigliosamente nuova che il Papa ci ha messo davanti”. L’ecologia integrale si scontra con il paradigma tecnocratico nato dalla modernità, in cui si è passati dalla visione filosofica classica, che vedeva come oggetto della sua speculazione ciò che era analizzato o pensato, alla filosofia moderna in cui oggetto è il soggetto pensante stesso, la soggettività, che però ha avuto la sua deriva nel soggettivismo. Questo ha fatto sì che vi fosse una tecnologia sempre più sofisticata, “utilizzata per sfruttare il Pianeta […] come se noi venissimo da altrove, da fuori". Il paradigma dei popoli indigeni è invece ben diverso perché essi “non accumulano beni, bensì relazioni sociali, con le persone e con l’universo”. In questo consiste la loro ricchezza.

L’uomo nasce dalla terra

Il nostro stretto rapporto con la terra spiega ancor più la necessità di un’ecologia integrale. Il cardinale ricorda nell’intervista che “noi siamo figli di questa terra e, se danneggiamo la terra, finiamo per fare male a noi stessi”. Riprende anche le parole del Papa secondo cui abbiamo uno specialissimo dovere di prenderci cura del creato, della casa comune.

Tutto è interrelato

Il relatore generale del Sinodo ricorda, inoltre, a proposito dell’ecologia integrale, che “Dio si è messo in relazione definitiva con questa terra in Gesù Cristo”. Gesù è un punto culminante verso cui tutte le creature, per vocazione trascendente, sono indirizzate: “Dio non distruggerà la sua passione, ma la trasformerà in senso pasquale”. E ancora: “Tutta la teologia e la cristologia, come pure la teologia dei sacramenti, vanno rilette a partire da questa grande luce per cui 'tutto è interconnesso', interrelato. Su questo tema il porporato conclude: “Credo che il concetto di ecologia integrale illumini tutto il lavoro che dobbiamo fare nell’Amazzonia per essere uniti nel cammino del Sinodo”.

Papa Benedetto, il cardinale Bergoglio e Aparecida

Sollecitato dalle domande di padre Spadaro, l’intervistato rammenta l’importanza della V Conferenza episcopale latinoamericana ad Aparecida – grazie a cui nacque la Repam – e la grande apertura di Benedetto XVI davanti a un mondo che non era il suo. Ma quella conferenza è stata importante anche per Papa Francesco, allora cardinale: “Papa Francesco afferma che è stato lì che lui stesso si è sensibilizzato alla sfida per l’Amazzonia".

Un piano pastorale panamazzonico

“Dopo Aparecida e soprattutto dopo l’annunzio del Sinodo per l’Amazzonia, bisogna pensare a un piano pastorale specifico per tutta la Panamazzonia”, sostiene mons. Hummes. Il cardinale è consapevole che ogni decentramento è “un po’ doloroso”, ma “dobbiamo camminare insieme in questa direzione”. La Repam, che mette in relazione nove Paesi, ha questo scopo: vuole essere una “rete che non va intesa come un’unità ulteriore con progetti propri, bensì un servizio per articolare tutte le entità, comunità, missionari, agenti ecclesiali sul territorio, persone e iniziative di difesa dell’Amazzonia”. Tornando al Sinodo, nell’ultima risposta dell’intervista afferma: “Abbiamo lavorato molto per il Sinodo, e continueremo a farlo in questo servizio così importante per il futuro della Chiesa”.

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13 maggio 2019, 11:00