Pasqua in Terra Santa: Pizzaballa, contro muri e divisioni scegliamo fraternità
Giada Aquilino - Città del Vaticano
“Qui tutto sembra dividerci, abbiamo i muri, abbiamo le tante divisioni, anche tra i cristiani, oltre che tra i popoli e le fedi: per questo è importante lavorare sulla fraternità”. Così l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, introduce a Pope la Pasqua in Terra Santa. Per l’occasione ha firmato, assieme agli altri Patriarchi e capi delle Chiese di Gerusalemme, un che richiama l’ lanciato a Rabat da Papa Francesco e dal sovrano del Marocco Mohammed VI e che sottolinea come la Città Santa sia “città della pace e della riconciliazione”, esortando a rispettare “lo status multireligioso e multiculturale” di Gerusalemme.
Si tratta della “identità di questa città”: Gerusalemme è il luogo “dove Dio si è rivelato, dove ebrei, cristiani e musulmani sono cresciuti insieme e hanno dato il volto alla città per secoli e questa vocazione deve rimanere. Una città dove andasse a mancare qualcuno di questi elementi, cristiani, ebrei e musulmani, religiosi e laici, perderebbe la sua configurazione universale che invece le è propria” (Ascolta l'intervista a mons. Pizzaballa).
Gineprai da cui sembra difficile uscire
Per i cristiani di Terra Santa, spiega mons. Pizzaballa, “la Pasqua è innanzitutto l’incontro con Gesù morto e risorto e non dobbiamo dimenticare questo approccio che non è devozionale ma dà senso al nostro stare qui e orienta pure le nostre azioni, il nostro pensiero e quello che diciamo”. Anche in un contesto internazionale che sembra aver messo in secondo piano gli sforzi per una soluzione al conflitto israelo-palestinese. “È vero - ammette l’amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme - che la comunità internazionale oggi si è un po’ stancata del conflitto israelo-palestinese, della questione di Gerusalemme, gineprai dai quali sembra sia sempre più difficile uscire ma per noi - aggiunge - sarà l’occasione per fare il punto della situazione e dire da dove ricominciare”: “Gesù - ricorda mons. Pizzaballa - è il sì definitivo di Dio all’uomo ed è un sì di gioia e di vita”.
Notre-Dame: niente è perduto
In queste ore, subito dopo l’incendio a Notre-Dame de Paris, mons. Pizzaballa ha inviato un di solidarietà a nome della Chiesa di Gerusalemme e del Patriarcato latino all’arcivescovo della capitale francese, mons. Michel Aupetit, sottolineando come “le immagini del fuoco diventeranno il simbolo di un nuovo inizio”, perché “niente è perduto”. Quanto successo lunedì a Parigi ha avuto un risvolto particolare verso un sentimento di unità, di speranza, di rinascita, proprio nella Settimana Santa: per rinvigorire una spinta simile anche in Terra Santa, mons. Pizzaballa pensa che “dappertutto ma soprattutto qui si debba lavorare molto sull’amicizia, sulla fraternità, sui legami tra le persone, sullo stare insieme, sulle relazioni, che poi è anche il testo del documento di Abu Dhabi e di tanti altri documenti ed è l’orientamento e insieme lo stile che dovrà caratterizzare la nostra presenza nel futuro”. D’altra parte, riflette, se l’attendiamo “da fuori”, non so “quando vedremo la gioia”: “se la gioia, invece, nasce da una decisione interiore, da una decisione chiara, determinata, allora possiamo averla anche qui”.
Gaza è nostro Venerdì Santo
Nel messaggio dei Patriarchi e dei capi delle Chiese di Gerusalemme si esortano i fedeli ad attingere forza dalle celebrazioni pasquali anche di fronte a violenza, angoscia, ingiustizie che calpestano la dignità umana. Il riferimento è “alle nostre comunità che sono nelle condizioni più difficili, penso in questo momento alla comunità di Gaza che sta vivendo situazioni particolari, poi anche ai fratelli cristiani che sono intorno a noi. Noi cristiani di Terra Santa abbiamo molti problemi ma non dobbiamo dimenticare i tanti profughi che ospitiamo nel territorio della nostra diocesi, come ad esempio in Giordania, senza dimenticare la Siria e l’Iraq e le tante situazioni di sofferenza che ci circondano”. A proposito di Gaza, è trascorso ormai più di un anno dall’inizio delle proteste per chiedere la fine del blocco. Eppure nella Striscia, testimonia l’arcivescovo, si continua a vivere “male”, “non c’è elettricità, c’è poca acqua, non c’è lavoro, le prospettive non si sa quali siano: è una situazione di Venerdì Santo”, osserva.
Speranza che nasce da Cristo risorto
D’altra parte “la Pasqua è la morte e la risurrezione di Cristo: noi cristiani siamo chiamati a dare questa testimonianza sempre e non dobbiamo permettere che la morte ci tenga in pugno. La morte non significa soltanto quella fisica, significa anche che nulla nella nostra vita può cambiare. Quindi noi cristiani non cambieremo il mondo, non cambieremo certamente la sorte dei due milioni di Gaza, ma là dove siamo possiamo dare un senso alla carità che riusciamo a fare”, anche se “poca”, creando “legami” e portando “un po’ di luce dove è possibile”. “In tutto il mondo - conclude mons. Pizzaballa - ci sono ombre di morte e in tutto il mondo abbiamo bisogno di portare questa piccola ma importante e decisiva testimonianza: la speranza che nasce da Cristo risorto”.
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