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Svizzera. Vescovi: no al suicidio assistito

Si deve distinguere fra un suicidio “buono”, che sarebbe giustificato, e per la cui assistenza si impegnano organizzazioni, e un suicidio “cattivo”, che è invece da impedire con azioni preventive? E’ quanto si chiedono i vescovi svizzeri in un messaggio diffuso per la Giornata Mondiale del malato che si celebra l’11 febbraio

Tiziana Campisi - Città del Vaticano

L’interrogativo che pone la Conferenza episcopale svizzera induce a riflettere da una parte sulla recente direttiva dell’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche (Assm) che ha introdotto il concetto di “sofferenza insopportabile” come ambito di l’applicazione del suicidio assistito e dall’altra sulla celebrazione della Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio. Ci sarebbe dunque un “buon” suicidio propagandato dai concetti di “autodeterminazione”, “sofferenza insopportabile” e “autonomia”, e un suicidio “cattivo” che deve essere evitato a tutti i costi paradossalmente mettendo in discussione gli stessi concetti che giustificherebbero l’assistenza al suicidio: autodeterminazione e autonomia. Per i vescovi si tratta di una contraddizione: da un lato, si mira a prevenire il suicidio in modo preventivo, dall’altro il suicidio assistito non è preso in considerazione nella questione della prevenzione.

La vita umana è un dono di Dio

“Ogni suicidio è voluto per sé stesso e scelto dal suicida per motivi di sofferenza e carichi ritenuti soggettivamente insopportabili – si legge nel messaggio –. Nella maggior parte dei casi, è anche pianificato”. I presuli sottolineano che qualunque suicidio è in ogni caso sempre una valutazione soggettiva con un esito letale, ma si domandano “perché una specie di suicidio dovrebbe essere evitato in modo preventivo … e l’altro invece, legittimato”. Il campo di applicazione delle direttive dell’Assm è stato tra l’altro esteso ai bambini ed adolescenti di tutte le età, nonché a pazienti con disabilità mentali e fisiche e disabilità multiple. E questo pone nuovi quesiti. Ma i vescovi rimarcano che “da un punto di vista cristiano, la vita umana è una vita che si riceve da Dio, un dono di Dio. La sofferenza delle forze vive che diminuiscono con l’età, delle malattie, del fine vita e della morte fanno parte del fatto che gli uomini sono creature”. Per i vescovi “questa sofferenza deve essere alleviata e mitigata il più possibile. Secondo l'insegnamento della Chiesa, nel piano di salvezza di Dio, anche le sofferenze possono avere un significato particolare”.

Il malato non può essere soppresso

“Il bene del malato non può consistere nella soppressione della sua esistenza – si legge nel messaggio firmato, a nome dei presuli svizzeri da mons. Marian Eleganti, vescovo ausiliare di Coire –. La cura dei malati, da un punto di vista cristiano, deve avere la precedenza su tutto, perché la salute e la malattia sono ‘relazionali’”. E come dice Papa Francesco, ricordano i vescovi, dipendono dall’interazione con gli altri e necessitano di fiducia, amicizia e solidarietà, per questo “è auspicabile che questa interazione sia realizzata in modo tale che nessun uomo possa avere l’idea di liberarsi della propria vita”. Infine i vescovi richiamano quanto il pontefice afferma nel suo Messaggio in occasione della 27a Giornata Mondiale del Malato: l’“esistenza non può essere considerata come semplice possesso o proprietà privata” ed è da sottrarre a qualsiasi manipolazione.
 

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28 gennaio 2019, 13:13