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I 19 martiri d'Algeria I 19 martiri d'Algeria

I martiri d'Algeria: 19 storie di amore incondizionato ad una terra musulmana

19 religiosi e religiose, di 8 diverse congregazioni, oggi alle 13 saranno proclamati beati ad Orano, in Algeria, nel Santuario di Notre-Dame di Santa Cruz, nella messa presieduta alle 13 dal card. Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e inviato speciale del Papa. Sono rimasti in Algeria negli anni bui del terrorismo, e integrati fra i musulmani, hanno testimoniato l’amore universale di Cristo fino al martirio, tra il 1991 e il 2002

Tiziana Campisi - Città del Vaticano

Ultimo aggiornamento 8 dicembre, 10.45

Vivere fino in fondo i legami di fratellanza e di amicizia instaurati con gli algerini, restare accanto a loro e semplicemente esserci, coltivare il dialogo e offrire un segno di convivenza pacifica nonostante la guerra civile. Mossi da questi propositi religiosi, religiose, sacerdoti e consacrati decisero di non lasciare l’Algeria negli anni difficili del terrorismo. Quel decennio buio, iniziato nel 1991 e conclusosi nel 2002, fu costellato di attentati e sanguinosi scontri tra forze armate del governo (istituito dopo un colpo di Stato) e fondamentalisti islamici che costarono la vita al oltre 150 mila persone. Fra queste i 19 martiri (13 religiosi, fra cui un vescovo, e 6 religiose) che vengono beatificati oggi alle 13 a Orano, in Algeria, nel Santuario di Notre-Dame di Santa Cruz, dal card Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e inviato speciale del Papa. La Causa di beatificazione è stata avviata dopo il loro ricordo al Colosseo il 7 maggio del 2000, durante una celebrazione dedicata ai martiri del XX secolo. Integrati da anni fra la gente per testimoniare il loro amore gratuito – offrendo aiuto nelle forme più disparate e umili – volevano continuare ad essere semplicemente cristiani fra i musulmani, proseguire la loro vita di ogni giorno accanto ai vicini di casa, ai giovani, agli anziani o ai più disagiati. E invece il Gruppo islamico armato (Gia) li considerò nemici dell’islam e li uccise.

L’Algeria negli anni bui del terrorismo

Tutto ebbe inizio nel ’91, quando alle elezioni legislative gli islamisti ottennero ampi consensi. Per evitare una loro maggioranza parlamentare e scongiurare così l’istaurazione di una Repubblica islamica, l’esito delle urne venne annullato e nel gennaio del ‘92 alcuni generali dell’esercito rovesciarono il potere. Per tutta risposta i fondamentalisti si organizzarono nel Gruppo islamico armato, allo scopo di terrorizzare e punire chiunque sostenesse il governo. Migliaia le vittime tra la popolazione civile, tra cui imam, intellettuali, artisti, giornalisti, medici, avvocati, giudici e insegnanti, ma anche donne e bambini. Il 30 ottobre 1993 l’organizzazione terroristica lanciò anche un ultimatum agli stranieri perché lasciassero l’Algeria nell’arco di un mese. In tanti, pressati dalle ambasciate, dovettero abbandonare il Paese, altri vollero rimanere. Il mirino fu così puntato su di loro.

Fratel Henri Vergès e suor Paul-Hélène Saint-Raymond

L’8 maggio del 1994, nella biblioteca della diocesi di Algeri, nella casbah, vengono assassinati fratel Henri Vergès e suor Paul-Hélène Saint-Raymond. Di quella biblioteca, frequentata da tantissimi studenti, fratel Henri era il responsabile. Di nazionalità francese, era stato anche direttore di una scuola e insegnante di matematica. Diceva: “È il mio impegno marista che mi ha permesso, malgrado i miei limiti, di inserirmi armoniosamente in un ambiente musulmano, e la mia vita in questo ambiente, a sua volta, mi ha fatto realizzare più profondamente come cristiano marista. Dio sia lodato”. Laureatasi in ingegneria prima di entrare fra le Piccole Sorelle dell’Assunzione, dopo i voti e gli studi per diventare infermiera, suor Paul-Hélène Saint-Raymond, anche lei francese, era arrivata in Algeria nel 1963. Nei quartieri poveri della capitale offriva assistenza ai più poveri e tra i suoi impegni c’era anche il lavoro con fratel Henri tra i giovani. Annunciare Cristo nella società musulmana significava per lei rispettare il credo dell’altro e al contempo approfondire la propria fede cristiana.

“Nessuno può prenderci la vita perché l’abbiamo già donata”

Suor Caridad Álvarez Martín e suor Ester Paniagua

Nel quartiere di Bab el-Oued, ad Algeri, suor Caridad Álvarez Martín e suor Ester Paniagua, agostiniane missionarie, spagnole, erano conosciute da tutti, sempre al fianco di anziani, bambini disabili e famiglie bisognose. Si stavano recando a Messa quando vengono uccise il 23 ottobre 1994. Suor Caridad era in Algeria da oltre trent’anni. “Sono aperta a ciò che Dio e i miei superiori vorranno da me. Maria è rimasta aperta alla volontà di Dio – affermava – in questo momento voglio restare con questa attitudine davanti a Dio”. E toccanti le parole di suor Ester – particolarmente dedita ai malati ed integratasi nella cultura araba – quando le si chiedeva se avesse paura della situazione nel Paese: “Nessuno può prenderci la vita perché l’abbiamo già donata”.

I quattro padri bianchi di Tizi Ouzou

Il 27 dicembre di quello stesso anno a Tizi Ouzou, nella Cabilia, nella piccola comunità dei padri bianchi l’irruzione di un gruppo di uomini armati. Immersi nelle loro attività quotidiane, muoiono i francesi padre Jean Chevillard, padre Alain Dieulangard, padre Christian Chessel e il belga padre Charles Deckers. “So che posso morire assassinato – osservava padre Jean mentre la violenza dilagava in Algeria –. La nostra vocazione è testimoniare la fede cristiana in terra musulmana. Per il resto ‘Inch Allah!’”. La gente di Tizi Ouzou li conosceva bene e li amava; padre Alain, missionario da anni, si dedicava all’insegnamento, padre Christian aveva messo su una biblioteca per studenti e padre Charles, che aveva imparato a parlare il berbero, gestiva un centro giovanile. Centinaia di musulmani presero preso parte alle loro esequie.

Suor Bibiane Leclerq e suor Angèle-Marie Littlejohn

Rientravano dopo essere state a messa suor Bibiane Leclerq e suor Angèle-Marie Littlejohn, missionarie di Nostra Signora degli Apostoli, quando il 3 settembre 1995, ad Algeri, vengono trucidate. Impegnate nell’orfanotrofio e nel collegio per ragazze gestito dalla loro Congregazione, le due religiose insegnavano taglio e cucito e ricamo, ma assistevano anche famiglie svantaggiate. “Sono le persone stesse che chiedono delle suore” spiegava la francese suor Bibiane quando le si chiedeva se restare o meno in Algeria. Nativa di Tunisi, suor Angèle-Marie era particolarmente amorevole con le giovani alle quali cercava di infondere l’amore per l’arte e del lavoro ben fatto. Poco prima di morire, a una religiosa che aveva condiviso con lei la propria paura aveva detto: “Non dobbiamo avere paura. Dobbiamo solo vivere bene il momento presente... Il resto non ci appartiene”.

Suor Odette Prévost

Poco più di due mesi dopo, il 10 novembre, ad Algeri, un terrorista spara a suor Odette Prévost, piccola sorella del Sacro Cuore. Di origini francesi, era stata in missione in diverse città del Maghreb e per comprendere meglio l’islam – la religione di quanti frequentava ogni giorno – leggeva il Corano e si era inserita in gruppi di preghiera di cristiani e musulmani. Consapevole del fatto che la sua vita fosse in pericolo, definiva il contesto socio-politico in cui si era ritrovata un “momento privilegiato per vivere con più verità, fedeltà a Gesù Cristo e al Vangelo”.

I sette padri trappisti di Tibhirine 

La storia dei sette monaci di Tibhirine è forse la più atroce. Rapiti la notte del 26 marzo 1996 nel loro monastero di Notre-Dame de l’Atlas, a una sessantina di km da Algeri, circa due mesi dopo, il 25 maggio, vengono ritrovate solo le loro teste nei pressi di Medea. Fratel Paul Favre-Miville, fratel Luc Dochier, p. Christophe Lebreton, fratel Michel Fleury, p. Bruno Lemarchand, p. Célestin Ringeard e p. Christian de Chergé sono stati sepolti nel cimitero del loro monastero il 4 giugno. La loro storia è stata narrata anche nel film Uomini di Dio, del 2010. La scelta di rimanere in Algeria, nonostante il crescente clima di terrore, l’avevano maturata in comune, dopo essersi confrontati a lungo e aver condiviso il loro personale e doloroso discernimento. Una decisione, la loro, che esprimeva il desiderio di stare insieme alla gente – che li considerava amici – e di condividere, soprattutto con i più poveri, i pericoli della violenza. Pur diversi tra loro, i religiosi di Tibhirine erano uniti dall’amore per il popolo algerino, dal rispetto per l’islam e dal desiderio di povertà. 

“Dobbiamo prendere parte alla sofferenza e alla speranza dell’Algeria, con amore, rispetto, pazienza e lucidità”

Mons. Pierre Claverie, vescovo di Orano

L’ultimo dei martiri cristiani in Algeria è il vescovo di Orano mons. Pierre Claverie, religioso domenicano. Viene ucciso l’1 agosto 1996 da un’autobomba, insieme al suo autista ed amico musulmano Mohammed Bouchikhi, davanti alla Curia della diocesi. Non si stancava mai di esortare i credenti a una convivenza pacifica nel rispetto dell’altro e l’impegno a favore del dialogo era al centro della sua vita. Nell’icona della Beatificazione dei 19 martiri d’Algeria c’è anche Mohammed, che aveva deciso di restare al fianco di mons. Claverie mettendo a rischio la propria vita. Un modo per ricordare che, negli anni bui del terrorismo, cristiani e musulmani sono morti per la stessa causa: non volevano far prevalere il terrore nella vita di tutti i giorni e desideravano rendere testimonianza a un dialogo possibile. Diceva mons. Claverie: “È ora che dobbiamo prendere parte alla sofferenza e alla speranza dell’Algeria, con amore, rispetto, pazienza e lucidità”. E ancora: “Il martirio è la più grande testimonianza d’amore. Non si tratta di correre verso la morte, né di cercare la sofferenza per la sofferenza... ma è versando il proprio sangue che ci si avvicina a Dio”.

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La immagini della veglia ad Orano
07 dicembre 2018, 08:00