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Morozzo: mons. Romero fu amico dei poveri e della pace

A pochi giorni dal rito di canonizzazione, che sarà celebrato domenica in Piazza San Pietro da Papa Francesco, un ricordo di mons. Óscar Romero, nelle parole dello storico e biografo Roberto Morozzo della Rocca

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Mons. Óscar Arnulfo Romero Galdámez “è stato tirato da una parte e dall’altra, a destra e a sinistra, è stato da alcuni considerato un uomo politico, un rivoluzionario in senso positivo, da altri invece in senso negativo. La stessa qualifica di politico, di rivoluzionario, magari di eversivo dipende da come lo si vedeva: in realtà, Romero era un uomo della Chiesa, come disse San Giovanni Paolo II”. A sottolinearlo è Roberto Morozzo della Rocca, docente di Storia contemporanea all’Università di Roma Tre e autore di “Oscar Romero. La biografia”, uscito in questi giorni in libreria per le Edizioni San Paolo in una edizione rivista e aggiornata. A pochi giorni dal rito di canonizzazione, che domenica prossima sarà celebrato da Papa Francesco in Piazza San Pietro, assieme a quello per Paolo VI, Francesco Spinelli, Vincenzo Romano, Maria Caterina Kasper, Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù, Nunzio Sulprizio, l’autore - che ha collaborato alla causa di canonizzazione - propone il frutto della propria ricerca storica sull’arcivescovo di San Salvador, in Centro America, ucciso il 24 marzo del 1980 dagli squadroni della morte legati al potere politico della destra locale (Ascolta l'intervista a Roberto Morozzo della Rocca).

La guerra, il peggior male

Così facendo, scrive nella prefazione Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Morozzo della Rocca ricostruisce “la vera immagine del vescovo assassinato, che era stata coperta da tante incrostazioni polemiche e ideologiche”. Fu ucciso mentre celebrava Messa, in un’epoca delicatissima per il Salvador: “credo ci fossero molti che - evidenzia Morozzo della Rocca - volessero arrivare alla guerra civile; lui era un baluardo contro la guerra civile. Parlava di pace, cercava anche in maniera pratica di mediare tra i fronti opposti ed era la persona più importante del Paese: lo ascoltavano tutti nelle sue predicazioni trasmesse alla radio; la sua parola aveva un peso anche internazionale. La domenica, dopo le liturgie, era attorniato da decine di giornalisti. Mons. Romero voleva difendere il suo popolo dalla guerra, che è il peggior male”.

Gli oppositori di Romero

“Era malvisto soprattutto dalla oligarchia che deteneva il potere reale nel Paese; il potere ufficiale era quello del regime militare, ma lo stesso regime militare era connesso e guidato dall’oligarchia. In realtà - spiega lo storico - è stato ucciso da uno ‘squadrone della morte’, quindi da frammenti impazziti nella violenza di ambienti militari di estrema destra”. In tale contesto, “la Conferenza episcopale era divisa, in quel tempo: alcuni vescovi, come mons. Arturo Rivera Damas che poi è stato il suo successore, lo appoggiavano; altri no, con gradazioni diverse”.

La voce dei senza voce

Di mons. Romero rimane l’impegno come difensore della pace e del popolo. “Ogni domenica, nelle sue predicazioni, diceva quello che era successo nel Paese in modo da dar voce ai desaparecidos, a quelli che scomparivano nel nulla e in genere morivano, alle vittime, alle loro famiglie. Era una difesa pubblica. Ed era in fondo un modo di dire a chi esercitava la violenza: ‘stai attento, perché le cose si sanno, anche se la stampa è di regime e non parla, io parlo e quindi c’è una voce che dice’. Mons. Romero non pretendeva di dire la verità, ma in un certo senso la gente sentiva che la sua era una voce di verità, de verdad, dicevano. E infatti lui è stato soprannominato voce dei senza voce, voz de los sin voz”.

Il miracolo

A poco più di tre anni dalla beatificazione, il 23 maggio 2015 a San Salvador, mons. Romero diventa Santo. “C’è una forte affinità tra Romero e Papa Francesco: la vedo anzitutto nel discorso dell’amore per i poveri e anche, in secondo luogo, nell’amore per l’America Latina. Però devo anche dire che Papa Francesco non mi risulta abbia spinto al di là delle regole, né per la beatificazione né per la canonizzazione. Il Pontefice ha lasciato che tutto seguisse il suo corso ordinario di correttezza canonica. Faccio solo un esempio: ora Romero diventa Santo, per un miracolo di una donna che stava morendo dopo aver partorito e inspiegabilmente in poche ore si è risanata. Però, prima di questo miracolo che è stato attestato come inspiegabile scientificamente, ci sono stati altri tre miracoli che - conclude - non erano stati accettati dagli esperti”.

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10 ottobre 2018, 14:35