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 Padre Maccalli nella missione in Niger Padre Maccalli nella missione in Niger  

Niger: padre Maccalli è vivo. Ancora nessuna richiesta di riscatto

Fonti della diocesi di Crema riferiscono che è vivo il missionario rapito a Bomoanga, in Niger. Si sospetta che l’azione sia opera dei pastori islamisti fulani. Il confratello padre John racconta a VaticanNews di gruppi jihadisti provenienti dal Mali

Marco Guerra – Città del Vaticano

Padre Gigi Maccalli, il missionario sequestrato ieri in Niger da un presunto gruppo jihadista, è vivo. A darne notizia è il 'il Nuovo Torrazzo', settimanale della diocesi di Crema di cui è originario il sacerdote, che ha sua volta è stato informato da padre Andrea Mandonico, della Società delle Missioni Africane (Sme).

Assicurazioni dalla polizia del Niger

Padre Mandonico – riferisce ancora il giornale delle diocesi di Crema – è stato chiamato ieri sera dal arcivescovo di Niamey, il quale ha riferito che la polizia nigerina ha assicurato che padre Gigi Maccalli è vivo e sperano di iniziare le trattative appena i rapinatori si faranno vivi.

Nessuna richiesta di riscatto

Al momento non è arrivata alcuna richiesta di riscatto né alle autorità civili né a quelle religiose. Il religioso della Società delle Missioni Africane è stato prelevato dalla propria abitazione nella notte tra lunedì 17 e martedì 18 settembre. Padre Mauro Armanino, missionario della Sme in Niger, ha raccontato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) che “è stato un attacco ben mirato e rapido. I rapitori conoscevano i movimenti di padre Pierluigi e avevano scelto lui come vittima”.

Secondo padre Armanino tra i vari motivi legati al sequestro vi è l’intento di spaventare le comunità cristiane in una delle pochissime aree del Niger in cui il cristianesimo è la fede di maggioranza: “Il fatto che per la prima volta abbiano colpito un sacerdote della Chiesa cattolica, mostra che non vi sono più limiti alla violenza”.

Probabile la firma dei pastori islamisti

A corroborare la tesi di un attacco anticristiano –  si legge ancora sul sito di  Aiuto alla Chiesa che Soffre – anche il fatto che un altro gruppetto di rapitori ha colpito poco dopo una abitazione delle suore Francescane di Maria. Le religiose sono riuscite a salvarsi, alcune sono fuggite, mentre altre si sono nascoste in casa. Proprio loro hanno fornito informazioni importanti sui rapitori che mentre saccheggiavano la loro abitazione parlavano nella lingua dell’etnia peul. Peul è il nome in lingua francese con il quale in Niger vengono chiamati i fulani, ovvero pastori islamisti che hanno mietuto migliaia di vittime in Nigeria, dove sono stati artefici di numerosi attacchi anticristiani e dell’uccisione di due sacerdoti nello scorso aprile.

Estremisti con basi in Mali

Padre Armanino spiega che difficilmente i rapitori sono riusciti a portare l’ostaggio in Burkina Faso, giacché la vicina frontiera è strettamente controllata. Padre Maccalli sarebbe dunque ancora in Niger, ma il timore è che i sequestratori possano raggiungere il Mali dove hanno maggiori dalla locale comunità fulani. Proprio in Mali è stata infatti rapita nel febbraio 2017 la religiosa colombiana Gloria Cecilia Narvaez Argoti, che si trova tutt’oggi prigioniera.

La testimonianza di padre John: sono entrati con le armi

Nella stessa missione di padre Maccalli, nella parrocchia di Bomoanga, a 125 chilometri dalla capitale Niamey, si trovava anche il confratello indiano padre John Dass, che è giunto visibilmente traumatizzato nella casa regionale a Niamey. VaticaNews lo ha intervistato per avere un racconto sulla dinamica dei fatti e la corniche sociale del territorio della missione:

R. – intorno alle 9.30, ho spento la luce e sono andato a letto. Il padre Maccalli era ancora sveglio: le luci nel suo appartamento erano accese. I rapitori sono arrivati intorno alle 9.45 e le 10. Dopo che avevo spento la luce, sono entrati e hanno bussato alla sua porta. E normalmente, quando qualcuno arriva tardi, padre Pierluigi gli apre, gli dà le medicine, perché noi abbiamo una farmacia. Quindi, quando la gente viene, anche tardi, lui dà le medicine. Ha aperto la porta, ha visto queste persone con i fucili che lo hanno trascinato fuori e l’hanno portato via con la forza, mentre sparavano in aria.

Vi siete fatti un’idea sul rapimento di padre Maccalli?

R. – Nel mese di giugno, io sono andato in un villaggio che si chiama Tangunga e lì mi hanno raccontato dei jihadisti che vengono dal Mali: sono in quattro o sei, e vivono in un accampamento. Ieri, quando sono andato a Bomanga, ho avuto conferma del fatto che probabilmente sono passati da lì, sono venuti passando da quel villaggio. Ma non sappiamo dove possano essere adesso …

Quindi, adesso per voi è pericoloso rimanere nella missione e continuare la vostra opera?

R. – Sì; ma abbiamo sentito che già è stato dichiarato il coprifuoco a partire dalle 18 /19, bisogna rimanere in casa. Ma noi continuiamo a lavorare per Cristo, siamo lì …

Le autorità hanno potuto darvi qualche informazione su padre Maccalli?

R. – No: stiamo aspettando che ci facciano sapere qualcosa. A tutt’adesso non abbiamo altre informazioni, se non l’ultima che ci diceva che erano passati, i rapitori con il rapito, dal villaggio di Tangunga che si trova a 35 km da Bomanga, dove ci troviamo noi.

Qual è la situazione in Niger?

R. – I politici hanno preso il controllo sui partiti di opposizione. Inoltre, loro non considerano la regione nella quale noi operiamo parte del Niger, ma del Burkina Faso. Quindi la politica in realtà non investe molto sulla sicurezza di questa regione …

Padre Maccalli vicino ai poveri e ai disabili

Sui crescenti rischi legali alla missione in Niger e la figura di padre Maccalli, abbiamo sentito anche il provinciale italiano della Società delle missioni africane, padre Luigino Frattini:  

R. - Il Niger è un Paese al 97, 98 percento di fede islamica. Finora c’è stata una situazione – diciamo negli ultimi anni – di relativa tolleranza, di rispetto. Poi sono subentrate queste nuove forme di estremismo. Il Sahel, non solo il Niger ma anche altri Paesi - Burkina Faso, Mali e altri - sono diventati teatro di questi attacchi. È diventato terra di nessuno; ci sono traffici molto squallidi di esseri umani, di droga, di armi. Tutto passa in questo zona difficile da controllare. Poi ci sono queste spinte, queste pulsioni estremiste da parte di questi gruppi jihadisti, di al Qaeda … Quindi nell’area c’era sì, il sentore della presenza di alcune bande, di alcuni gruppi e i missionari ne tenevano conto adottando anche delle misure di prudenza, come non uscire troppo la notte , non spostarsi. Però se vogliamo continuare il nostro lavoro missionario lì, come in altri contesti, dobbiamo anche andare oltre i pericoli che possono esserci.

Chi è padre Maccalli? Serve questi territori da tantissimo tempo. Lei lo conosce personalmente …

R. - Da una decina di anni. è una persona squisita, dedita alla sua missione. È veramente preso anche da un amore profondo per la gente, per i poveri. In particolare si occupava, aveva un’attenzione speciale, per i portatori di handicap,  i disabili, i bambini. È un missionario a tutto campo per l’evangelizzazione e per la promozione umana.

La mobilitazione di Italia e Niger

Il 5 settembre scorso, padre Maccalli aveva terminato una visita di due mesi in famiglia, in Italia, per fare rientro nel Paese centro-africano. Il Ministero degli Esteri italiano ha chiesto formalmente alle autorità locali di dare assoluta priorità alla rapida soluzione della vicenda e in ogni caso di evitare iniziative che possano mettere a rischio l'incolumità del religioso. Il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ha avuto un colloquio presidente del Niger, Mahamadou Issoufou, il quale sta seguendo personalmente la situazione.

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19 settembre 2018, 14:14