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Monsignor Paolo Martinelli, vicario apostolico per gli Emirati Arabi Uniti, l'Oman e lo Yemen Monsignor Paolo Martinelli, vicario apostolico per gli Emirati Arabi Uniti, l'Oman e lo Yemen 

Martinelli: spezzare la logica della vendetta, il Sinodo fa emergere percorsi di bene

Il vicario apostolico dell'Arabia meridionale partecipa all'assise in Vaticano riportando l'esperienza maturata in tre anni in quell'area. Esprime forte preoccupazione per lo Yemen che, già martoriato da dieci anni di guerra civile, vive la tensione esasperata dal conflitto mediorientale. Serve un surplus di diplomazia e, soprattutto, "la testimonianza dei popoli attraverso cui si può vedere che si può camminare insieme, che le religioni sono un contributo all'umanizzazione del mondo"

Antonella Palermo - Città del Vaticano

Ai media vaticani, monsignor Paolo Martinelli, francescano cappuccino, vicario apostolico per gli Emirati Arabi Uniti, l’Oman e lo Yemen, racconta lo spirito con cui sta vivendo i lavori dell'assise in Vaticano a cui partecipa con l’esperienza del Vicariato d’Arabia e i percorsi di sinodalità sviluppati in questi ultimi due anni dai credenti di quell’area.

Ascolta l'intervista a monsignor Paolo Martinelli

Eccellenza, come vive i lavori del Sinodo alla luce della sua presenza in un'area del mondo dove le preoccupazioni per l'allargamento a livello regionale del conflitto mediorientale sono particolarmente forti?

Esprimo intanto la mia gioia e la mia gratitudine perché il tema della pace è presente in ogni momento in questo Sinodo. Da parte nostra siamo in effetti in una condizione delicata perché il mio Vicariato comprende gli Emirati, l'Oman, dove la situazione è tranquilla, e lo Yemen che invece sta ulteriormente patendo altre difficoltà. La parte del Nord è peraltro direttamente coinvolta con azioni di disturbo - messaggi negativi nell'ambito del conflitto tra Israele e Hamas - e questo crea una tensione ancora più grande in un Paese già martoriato da dieci anni di guerra civile. Quindi noi preghiamo perché tutto ciò finisca e per ricominciare a costruire, perché si possano finalmente fare progetti di bene, di condivisione, di cammino comune. Con così tanta violenza è impossibile. Che il Signore davvero tocchi il cuore di tutti, di coloro che hanno responsabilità perché si interrompa la logica della vendetta. Tutti hanno subìto, tutti si sentono in diritto di reagire ma, entrando nella logica della vendetta, non si ricomincia mai. C'è bisogno di percorsi di riconciliazione e di pace che permettano di intravedere il bene per tutti. 

Perché sembra la diplomazia stia fallendo?

Innanzitutto, bisogna rivedere i protocolli di diplomazia. È essenziale. Se non ci sono le diplomazie, chi può instaurare un dialogo? Serve, tuttavia, anche la testimonianza dei popoli attraverso cui si può vedere che si può camminare insieme, che le religioni sono un contributo all'umanizzazione del mondo, e che non devono essere strumentalizzate nazionalisticamente. Le fedi sono per la pace. Da noi, per esempio, c'è il compound dove sono sorte, vicine, una chiesa cattolica, una moschea, una sinagoga. Questi sono fatti, fatti di vita buona che aiutano a vedere nuove prospettive. Che anche le istituzioni e i governi sostengano esperienze come questa è sicuramente un modo per favorire percorsi di bene. Si tocca con mano che è un vantaggio per tutti la condivisione delle proprie tradizioni spirituali. 

Il Sinodo come sta contribuendo alla diffusione di una cultura di pace?

Il fatto stesso del Sinodo è una testimonianza in questo senso. Al di là dei risultati tecnici che potrà dare, è il fatto stesso che ci si ascolti vicendevolmente ad essere significativo. Riconoscere le ricchezze delle differenze e imparare a discernere insieme la volontà di Dio è un esempio per la Chiesa e per il mondo che può suscitare percorsi di bene per la società.

Ieri alla veglia ecumenica le parole "scandalo" e "vergogna" per la divisione dei cristiani... Come sono risuonate in lei?

Io credo che bisogna riconoscere il mistero del male e chiamarlo per nome. Guai a nascondere che siamo peccatori bisognosi di purificazione. Questa è la condizione per la riconciliazione e la conversione. 

La missione è l'orizzonte che attraversa questo Sinodo. Lei come la vive questa dimensione?

Secondo me, il tema della missione è molto importante perché dice la finalità di questo operare in Sinodo. Dice che non ci occupiamo solo di noi stessi. È una sinodalità per comunicare con umiltà il Vangelo. Senza imporre nessuno ma condividendo con gioia quello che di bello abbiamo incontrato nella nostra vita. 

In uno dei Forum organizzati nell'ambito del Sinodo è stato precisato che la Chiesa non è una monarchia....

Sì, non è una monarchia e non è una democrazia. È molto interessante ed è un percorso ancora da approfondire. C'è una radice molto popolare - lo vedo nel nostro popolo dove c'è un istinto alla partecipazione fortissimo - nella vita della Chiesa, che il vescovo non può che favorire ed esaltare. 

Come ha seguito il viaggio di Papa Francesco in Asia e Oceania?

L'ho seguito molto attentamente e mi sono commosso molto. Mi ha fatto pensare alle due volte in cui il Papa è venuto nella penisola araba; diverse le similitudini, per esempio il documento firmato in Indonesia che fa capire che il cammino sulla fratellanza continua. Poi la valorizzazione delle differenze, una cosa per me estremamente entusiasmante. L'ideale della vita non è superare le diversità in una uniformità che ci appiattisce, ma avere il gusto di incontrare l'altro perché è altro. 

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13 ottobre 2024, 10:00