Zuppi: perdono e giustizia sono la via della pace
Pope
Negli studi di Radio Vaticana - Pope al Meeting di Rimini, il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, affronta il tema della pace parlando della necessità del negoziato, dell'educazione per costruire un mondo nel quale riconoscere l'altro come proprio fratello.
Il titolo dell’incontro al quale partecipa al Meeting è “Educare alla conciliazione”. E allora, anche pensando all’impegno che il Papa le ha affidato negli ultimi mesi, è possibile educare alla conciliazione, è possibile educare alla pace? E che cosa possiamo fare, noi, per questo?
Tanto. Tantissimo. I cristiani ancora di più: anzi, se non lo facessero credo che verrebbero meno ad una delle indicazioni più evidenti di Nostro Signore, che peraltro mi sembra che ripetiamo quasi tutti i giorni, perlomeno speriamo una volta al giorno, chiedere perdono e imparare a perdonare. Anche perché se non c’è l’educazione alla conciliazione, c’è la maleducazione alla guerra, al conflitto, al pregiudizio, all’odio, al rancore, alla vendetta, a coltivare quel senso deformato di giustizia che è la vendetta, per cui io debbo fare qualcosa contro perché non so mettere insieme perdono e giustizia. La conciliazione è l’unico modo per ritrovare il fratello, anche quando il fratello ha fatto qualcosa contro di te. Ed è il vero modo con cui tutti possiamo costruire la pace ed essere artigiani di pace.
Che ruolo hanno le religioni in un tempo in cui le guerre nel mondo – ci racconta l’Onu – sono 27, e secondo altre fonti, quasi 60?
Hanno un ruolo importantissimo. Dimostrano anche tanta debolezza. Credo che il cardinale Pizzaballa abbia commentato anche le difficoltà delle religioni di fronte a una tempesta di odio, di violenza, di guerra che ha travolto tutto e ha rivelato anche quanto sia ancora troppo poco quello che ci fa pensare la “Fratelli tutti”. Quando siamo andati a Gerusalemme con un pellegrinaggio organizzato dalla diocesi ed erano presenti anche tanti membri di movimenti e di realtà italiane, nell’incontro con i parenti degli ostaggi – forse è stato uno dei momenti più toccanti – la mamma di Hershel, Rachel, il ragazzo di 32 anni che è in ostaggio, credo, da 280 giorni ormai, ha detto: “Non c’è classifica nel dolore”; e poi “Io non voglio che il mio dolore produca altro dolore”. Dobbiamo partire da lì: di fronte alla tempesta di odio e di violenza, quello che ha così bene raccontato, descritto il cardinale Pizzaballa, umilmente dobbiamo continuare a credere che questa sia l’unica via per combattere l’odio perché altrimenti si diventa tutti ciechi.
Eminenza, “la vendetta - ha detto - come un senso deformato della giustizia”: cos’è che ci permette allora di formarci alla conciliazione per arrivare a una giustizia che abbia una forma corretta?
Perdono e giustizia vanno insieme, non sono contrastanti. Il perdono è perdono, ma chiede la giustizia. Uno degli esempi più noti è stato quello di Giovanni Bachelet quando, nella Messa di esequie del papà, pregò perdonando, ma chiedendo giustizia. Anzi: io penso che chi perdona è ancora più libero nel chiedere giustizia, proprio perché non c’è quel sapore di vendetta che può inquinare tutto. E quindi, se vogliamo, possiamo essere ancora più intransigenti sulla giustizia, proprio perché liberi da quel veleno che è la vendetta.
Oggi la parola negoziato è diventata quasi una parola negativa, sembra che chi negozia sia un perdente o sia uno che non sia realista. Guardando alla guerra che c’è nel cuore dell’Europa cristiana e che è in corso fra Russia e Ucraina, quanto è importante riuscire a iniziare a negoziare? E ci sono segni in questo senso?
Credo di sì, perché poi è inevitabile. Il termine – compromesso –in italiano ha due accezioni: compromettersi vuol dire anche impegnarsi, quando uno fa il compromesso dopo paga qualche penale se non va avanti nel compromesso che ha fatto; l’altra accezione è negativa e sembra così prevalente perché poi è in un’idea di forza, polarizzata, per cui bisogna imporre delle cose. Quest’idea negativa, certo che è sbagliata: il compromesso è come se fosse al ribasso, come se fosse tradire i propri ideali … Mentre, forse ha proprio ragione Papa Francesco quando dice che il vero coraggio è saper negoziare; il vero coraggio è saper scegliere, capire e trovare il compromesso che guarda al futuro, che prepara il futuro, che trova un modo con cui ricostruiamo la fraternità che è stata divelta dalla guerra. E questo, secondo alcuni, è irenismo. Questo è l’unico modo con cui si può costruire il futuro e lo facciamo troppo poco, mettiamo in discussione quella consapevolezza di trovare, attraverso il dialogo, la soluzione ai conflitti che invece era così chiara ed evidente nei sopravvissuti della Seconda Guerra Mondiale. L’anno prossimo saranno 80 anni dalla fine del conflitto: ecco, forse non dobbiamo dissipare questo patrimonio che è costato la vita di milioni di persone che ci hanno consegnato la pace non per starcene in pace, ma per imparare a vivere insieme.
Qui al Meeting in questi giorni si è parlato tanto di prospettiva, uno sguardo verso la solidarietà, un mondo fraterno, un mondo solidale, e quattro sono i pilastri che Giovanni XXIII guardava pensando alla pace, che si sostanzia attraverso la verità, la giustizia, la libertà, la solidarietà. Qui è stato ribadito “non bisogna perdere la speranza per la costruzione della pace”: è così?
… anche perché se si perde la speranza, che come è noto è l’ultima a morire … Ma non dobbiamo avere speranza perché le cose vanno bene. Io penso all’accorata e in alcuni casi davvero drammatica testimonianza del cardinale Pizzaballa. In realtà, c’era molta speranza nel suo realismo, ha parlato di “ultimo treno” ma c'era anche tutta la speranza in quella situazione, perché noi dobbiamo credere alla luce quando c’è buio. Se è tutto chiaro, sono capaci tutti. Forse dobbiamo imparare a credere e a cercare nel buio … Papa Benedetto disse, parlando dei martiri di Auschwitz, dei tedeschi uccisi, disse: “Queste sono le stelle”, e intendeva le stelle del mattino. E in altre occasioni aveva detto: “Le stelle si vedono di più quanto più fonda è la notte”. Ecco, forse dobbiamo guardare di più le stelle e anche saperle riconoscerle anche quando la notte è terribilmente scura, come quella che stiamo vivendo.
Qui al Meeting ci sono tantissimi bambini. I bambini giocano, litigano e poi fanno la pace: gli adulti hanno qualche difficoltà in più. Ma come raccontare la guerra, anche come giornalisti, come Chiesa, ai più piccoli?
Raccontandola. I bambini hanno una assoluta percezione evidente dell’orrore della guerra. Non è edulcorando, facendo finta, anche perché in molti casi la capiscono, la sentono. Benigni, quando ha parlato a Piazza San Pietro, alla Giornata mondiale dei bambini, ha detto: “Ma come è possibile? Con i bambini, se uno si fa male, il gioco si ferma, anche se giocano alla guerra, si ferma subito. Ma com’è possibile che i grandi ammazzano i bambini e non si fermano?”. Ha ragione lui. E quindi forse davvero dobbiamo ripartire dall’orrore delle vittime civili, tutte, e quando riguarda i bambini, ovviamente colpisce ancora di più. E forse imparare che se si fa male uno, dobbiamo fermare il gioco …
Don Tonino Bello aveva detto, parlando della guerra, che la guerra inizia nel momento in cui io non vedo più il volto dell’altro. Quanto è importante recuperare questa dimensione di rispetto, di attenzione e di riconoscimento di umanità dell’altro, anche dell’altro che è avversario?
È fondamentale e qui ritorniamo forse da dove siamo partiti. L’educazione vuol dire riconoscere l’altro, è capirsi, saperlo valutare, capirne la sofferenza e sfuggire a questa logica di polarizzazione che porta – nella versione digitale poi ancora di più – ad annullare l’altro. Per cui l’educazione è fondamentale e credo che anche tanti documenti, tanta sapienza della Chiesa abbia sempre indicato proprio l’educazione come via della pace. Credo che dobbiamo fare qualche corso di recupero, siamo andati un po’ indietro: curiosamente, siamo andati indietro piuttosto che crescere nella conoscenza e nella capacità educativa.
Seguendo il tema che anima il Meeting – l’essenziale – che cos’è l’essenziale per educare alla conciliazione, cos’è essenziale per la pace, per la costruzione della pace?
Che l’altro è mio fratello. Chi trova dentro di sé la presenza di Dio, incomincia a vederla anche nel fratello, nel prossimo, anche quando l’istinto ti porta ad altro … E l’educazione è il modo con cui ascoltiamo il consiglio di Dio di non farci trascinare dall’istinto. L’altro è mio fratello. La visione di Papa Francesco, “Fratelli tutti”: credo che siamo all’inizio di quel sussidiario che ci ha dato per costruire il futuro, per avere speranza.
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