Arte, cultura e spiritualità parlano delle Marche e del legame con Roma
Maria Milvia Morciano - Città del Vaticano
Chi visiterà Il grande monumento sul cui culmine svetta l’Arcangelo Michele, in origine mausoleo dell’imperatore Adriano, poi fortilizio nel Medioevo, luogo di rifugio inespugnabile dei Papi e ancora fortezza, caserma, carcere e oggi uno dei musei più visitati al mondo, avrà la possibilità di vedere “Papi e Santi marchigiani a Castel Sant’Angelo” una mostra che durerà fino al 2 marzo del 2025, entrando nel cuore dell’Anno Santo. Si tratta di una “mostra giubilare”, che si inscrive nel programma di iniziative culturali del Giubileo 2025.
La mostra è promossa dalla Regione Marche e il patrocinio del Dicastero per l’Evangelizzazione Giubileo 2025. Con la collaborazione della Direzione generale Musei del Ministro della Cultura e dell’Istituto Pantheon e Castel Sant’Angelo - Conferenza Episcopale Marchigiana. Prodotta e organizzata, inoltre, da C.O.R. Creare Organizzare realizzare e di Alessandro Nicosia, con la curatela di Marco Pizzo e Maria Cristina Bettini.
Un mutuo rapporto di scambio
Una mostra piccola, perfino segreta, cui si accede percorrendo i vari livelli del mausoleo, tra reperti e affacci su una Roma di commovente bellezza. Dietro la porticina delle Armerie Superiori, le cinque sale invitano a un viaggio nel tempo che però non spaventa ma nelle quali ci si riconosce nel proprio desiderio di bellezza e di silenzio, nel bisogno di pace e di fede. Obiettivo della mostra è quello di mostrare il legame di Roma e la Chiesa con le Marche e le sue figure di Papi e di Santi, attraverso il linguaggio mediato dall’arte, la cultura e la spiritualità.
Come ha osservato monsignor Nazzareno Marconi, presidente della Conferenza episcopale marchigiana, non si tratta di una mostra che punta a stupire con opere eclatanti. “Credo che ci sia proprio questo messaggio, che nel muoversi, nel creare sinergie, nel creare incontro, si costruisce bellezza e cultura. La storia della mostra è quella della fede che da Roma giunge nelle Marche; nelle Marche, cresce e torna a Roma con testimonianze di santi e con grandi azioni di Papi che provengono dalle Marche. La cosa interessante è che nella scelta, anche in alcuni elementi minimali, non si è puntato tanto sulla singola parola, ma sul racconto, sulla narrazione. Non ci sono opere che ‘squillano’ come in certe mostre costruite attorno ad una sola e poi tutto il resto scompare, ma c'è un continuum che conduce colui che guarda a comprendere questo passaggio di testimone tra Roma e le Marche, tra le Marche e Roma. E speriamo che questa sia una delle cifre del prossimo Giubileo. Il fatto che dalla periferia si giunge a Roma, ma da Roma si abbia uno sguardo verso le periferie, come dice Papa Francesco, è dalle periferie che giungono quelle intuizioni che sbrogliano le matasse e matasse da sbrogliare ce ne sono tante”, conclude il vescovo di Macerata.
Loreto, esempio di pace possibile
“Loreto nasce con l’arrivo della Santa Casa – aggiunge monsignor Marconi - siamo nel 1200, in un tempo in cui la tentazione di vivere la devozione andando nei luoghi santi e quindi sommare guerre e crociate era forte. E Loreto è un'intuizione, come d'altra parte tante reliquie che furono portate in Occidente: portiamo ciò che per noi è significativo per l'incontro con il Signore come la Santa Casa. Senza volere a tutti i costi occupare un territorio. Anche qui cito Papa Francesco: non occupare territori ma creare percorsi. Loreto ha creato un percorso: andare verso la Santa Casa, non potendo fare il pellegrinaggio fino alla Terra Santa, recarsi al luogo che porta la Terra Santa tra noi, e questo ha smorzato la pressione per la sua riconquista e ha reso i cristiani coscienti che non era questione di guerra, era questione di fede. Questa sapienza, questo non voler occupare territori, ma creare percorsi di incontro, mi sembrerebbe una parola bellissima per quello che oggi stiamo vivendo nelle guerre che invece cercano di occupare territori e non producono percorsi di incontro”.
Il professore Marco Pizzo, Direttore del Museo Centrale del Risorgimento di Roma, curatore della mostra, spiega che l’obiettivo è “cercare di raccontare un territorio attraverso alcuni cittadini illustri che sono i Papi e i Santi marchigiani, visti non solo dal punto di vista della loro biografia e della loro spiritualità, ma anche del collegamento che hanno avuto proprio specifico con singoli paesi, singole comunità che hanno quindi trovato un'espressione in quelli che sono le reliquie, gli ex-voto, altri strumenti devozionali. Tutto questo poi si intreccia con la grande storia d'Italia. Abbiamo dedicato molta parte anche dell'ultima sezione a Pio IX, sotto il cui pontificato si assiste all'assestamento definitivo tra potere spirituale e potere temporale della Chiesa. Nella mostra l'abbiamo fatto esprimere attraverso le foto della sua casa natale a Senigallia e quelle dei suoi itinerari nelle visite pastorali delle Marche. Tutto questo è raccontato attraverso una selezione particolare di oggetti che provengono dal territorio. Ma c’è anche una mostra nella mostra e sono le medaglie pontificie che raccontano momenti dei singoli Papi sempre legati alla Regione delle Marche”.
Loreto, punto di irradiazione
“Il punto distintivo del rapporto tra le Marche e Roma, il punto di partenza, è la Santa Casa di Loreto – osserva il professor Pizzo - che non è solo un punto, un momento di irradiazione di una cultura spirituale mariana, ma anche un momento di formazione. Tant'è che tutti i pontefici sono legati a Loreto attraverso doni e committenze, Sisto V pone addirittura una statua nell'atrio della basilica. Questo connota sempre in tutti i pontefici: una volontà di legare la loro attività pontificale e ha l’obiettivo di preservare la fede”.
I santi
Pizzo passa a parlare di uno dei due aspetti fondanti della mostra in corso a Castel Sant’Angelo: “I santi specifici delle Marche non sono solo appartenenti agli ordini mendicanti, ma anche esponenti di una visione mistica, quasi eremitica della Chiesa. Inoltre la scrittura femminile di Santa Camilla Battista da Varano, Santa Veronica Giuliani, rappresentano delle accezioni particolarissime non solo per la scrittura femminile, ma anche per il modo di intendere il ruolo e la presenza femminile all'interno della Chiesa”. I santi passano attraverso un arco temporale che va da San Marcellino e giunge a Santa Maria Goretti. “Sono i due estremi, il primo un santo martire dei primi secoli del cristianesimo, e qui in mostra abbiamo avuto la fortuna di esporre una cosa meravigliosa che sono le pagine dell'Evangelo del VI secolo che secondo la tradizione il santo martire usò per spegnere un incendio, tant'è, che tutto venne bruciato, solo l'Evangelo si salvò. Questi altri sono documenti in pergamena meravigliosi, così come tanti ex-voto, tanti reliquiari come quello di San Gualtiero del 1403, capolavori dell'arte gotica, ma sono anche delle sintesi spirituali e dogmatiche”. “E tutto questo – continua Pizzo - viene raccontato per exempla, cioè per immagini, per documenti, per materiali e reliquie, spesso pochissimo note, pochissimo viste. E questo secondo me è un valore aggiunto anche per l’imminente Giubileo, ovvero mettere un confronto con un territorio attraverso delle cose spesso poco visibili e poco note”.
Il rapporto tra Giubileo e i santi, i pellegrinaggi e gli itinerari
I santi di cui si parla in mostra “prima di ritirarsi in una clausura eremitica, hanno peregrinato, sono andati in giro a tenere i loro sermoni” – riflette Pizzo – “Questo ha permesso un collegamento non solo con i vari luoghi della loro regione, ma anche con Roma. Tant'è che noi esponiamo delle vie e degli itinerari di pellegrinaggio che sono gli stessi che connotano gli itinerari verso Roma, Loreto, Roma, Assisi”.
Gli antecedenti dei tatuaggi
Una notazione particolare evidenzia questi luoghi intrisi di spiritualità, e in particolare la Santa Casa di Loreto, a tal punto che i devoti spesso usavano tatuarsela. Gli antecedenti del tatuaggio moderno e contemporaneo sono proprio i tatuaggi della Santa Casa di Loreto del XV secolo.
I Papi
Il curatore Marco Pizzo ricorda i pontefici marchigiani che si incontrano nella mostra: “Nicolò IV sicuramente rappresenta una rivoluzione culturale. E’ il primo Papa francescano che dà anche molte committenze alle Marche come segno tangibile del suo potere, ma è quello che rinnova, sulla base della lezione francescana, anche la Chiesa cattolica”. Poi passa a Clemente VII, Pio VIII, Leone XII, tutti Papi che in qualche maniera concorrono a mantenere un legame forte con il territorio, al tempo stesso impegnandosi all'interno della Chiesa con un recupero tramite la Congregazione per la Dottrina della Fede, il Sant'Uffizio, attraverso l'indice dei libri proibiti e non alla soppressione delle eresie, ma quanto al tentativo, delle volte mal riuscito, come nel caso di Giordano Bruno, di mantenere intatta e pura la fede cattolica” .
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