Oleksandra Matviychuk: l'occupazione è una guerra, vogliamo la pace
Svitlana Dukhovich – Città del Vaticano
Pace non vuol dire occupare e la guerra è un veleno: è la testimonianza dell’avvocata e attivista per i diritti umani Oleksandra Matviychuk, fondatrice in Ucraina del Centro per le libertà civili, impegnato a documentare la sofferenza provocata nel suo Paese dal conflitto e che, per questo, nel 2022 ha ricevuto il Premio Nobel per la pace. Matviychuk, che ha preso parte nei giorni scorsi al Secondo Incontro mondiale sulla fratellanza universale, organizzato dalla Fondazione Fratelli tutti, con gli altri Nobel presenti a Roma ha lavorato a una dichiarazione di pace e ieri mattina, con tutti i suoi colleghi, ha incontrato il Papa. La sua presenza a Roma è stata anche occasione per presentare la sua esperienza nella documentazione dei crimini di guerra. Radio Vaticana-Pope l’ha incontrata subito dopo l'udienza dei partecipanti al forum con Francesco.
Оlexandra, lei ha partecipato al World Meeting on Human Fraternity ed era presente all'udienza con il Santo Padre. Potrebbe condividere le sue impressioni?
In effetti, sono molto contenta di essere in Vaticano in questi giorni per un incontro al quale sono stati invitati premi Nobel per la pace e rappresentanti di varie organizzazioni internazionali. Abbiamo discusso insieme sul testo della Dichiarazione di pace e i suoi punti principali. Per me è molto importante che il testo finale della Dichiarazione di pace includa una cosa che è chiara a tutti gli ucraini, ma non così ovvia per la comunità internazionale: l'occupazione è anche guerra. Tutti vogliamo la pace, e tutti combattiamo per la pace, ma la pace non è occupazione. Ho avuto l'opportunità di avere una breve conversazione con il Santo Padre e gli ho presentato un libro di Stanislav Aseyev, un giornalista di Donetsk che ha trascorso due anni nel carcere “Izolyatsia”. Ho detto al Papa che sono impegnata a documentare il dolore umano e che milioni di persone in Ucraina stanno soffrendo. La gente ha bisogno di Sua Santità e ho chiesto al Papa di venire in Ucraina. Ho detto che ora più che mai le persone che soffrono hanno bisogno di lui.
Oleksandra, qual è il significato della sua partecipazione come capo del Centro per le libertà civili a un evento del genere?
È importante che qui siano state ascoltate le voci di persone provenienti da diversi continenti, persone che hanno vissuto tante prove e, in particolare, le guerre. E in realtà, tutti abbiamo parlato della stessa cosa, anche se da prospettive diverse, da punti geografici diversi, da esperienze di vita diverse: abbiamo parlato del fatto che le persone lottano per la libertà, per la dignità umana, del fatto che ci deve essere la giustizia e se il male non è punito, cresce soltanto. Abbiamo parlato che se vogliamo la pace, dobbiamo farla diventare la nostra pratica quotidiana.
Tra tanti partecipanti all'incontro, persone che stanno vivendo varie difficoltà nei loro Paesi, ha percepito il desiderio di ascoltare il dolore e i problemi degli altri, il desiderio di capire e di aiutare?
Qui bisogna capire che si tratta di un pubblico particolare: sono persone che sanno ascoltare e comprendere il dolore di un'altra persona. Vi faccio un esempio: era arrivato uno degli alti funzionari del Vaticano e a un certo punto volevo avvicinarmi per parlargli, ma lui non mi ha visto. Allora una dei partecipanti alla conferenza, un premio Nobel dello Yemen, mi ha semplicemente chiamato e mi ha presentato a lui. Lei aveva visto che volevo parlare con questa persona e, dato che era coinvolta nella conversazione, l'ha fatto. È un piccolo dettaglio, ma è una cosa che noto spesso: persone che hanno lavorato molto sul dolore umano, persone che capiscono cos'è la lotta per la libertà, capiscono le aspirazioni degli altri e non rifiutano mai di aiutare.
La missione del vostro Centro per le Libertà Civili è quella di promuovere i diritti umani, la democrazia e la solidarietà in Ucraina. Fin dall'inizio dell'invasione russa su larga scala, voi state documentando i crimini di guerra commessi dall'esercito russo e chiedendo che la responsabilità di questi crimini sia riconosciuta a livello internazionale. In che misura riuscite anche a sensibilizzare la società ucraina e a incoraggiarla a non perdere di vista i diritti umani nella vita quotidiana, in un periodo così difficile di guerra?
È una questione davvero complicata. Da un lato, stiamo tutti combattendo per la libertà in tutti i sensi: per la libertà di essere un Paese indipendente, non una colonia russa, per la libertà di preservare la nostra identità ucraina, di non essere costretti a rieducare i nostri figli per “diventare russi”, e per la libertà di avere una scelta democratica, cioè il diritto di fare qualcosa ogni giorno e di costruire un Paese in cui i diritti di tutti siano protetti. Ma d'altra parte, la guerra è un veleno, è un veleno per qualsiasi società, per qualsiasi popolo, perché ovviamente porta in primo piano il bisogno di sopravvivenza, porta in primo piano alcuni istinti fondamentali, e qualche volta le persone possono pensare che tutto il resto in queste condizioni non ha importanza. Questa è una posizione molto pericolosa, perché poi si rischia di dimenticare per cosa stiamo combattendo. Io non ho il diritto morale di dire niente a nessuno, ma quello che è il mio compito è ricordare agli ucraini delle cose importanti. E ciò che ancora ci aiuta a muoverci nella giusta direzione, nonostante tutta questa logica di guerra, è che se apriamo un qualsiasi sondaggio sociologico sugli ucraini riguardo ai valori, vedremo che gli ucraini mettono sempre la libertà in cima alla gerarchia dei valori.
Alcuni sondaggi mostrano anche che una grande percentuale di ucraini ha fiducia nella Chiesa. Anche in questo caso stiamo parlando di valori. Quale ruolo pensa che la Chiesa possa svolgere nel guidare le persone verso determinati valori?
In effetti, la Chiesa può svolgere e svolge un ruolo enorme. Siamo consapevoli di questo soft power e cerchiamo di collaborare con diverse Chiese, confessioni e organizzazioni religiose. Nel 2019, insieme all'Istituto per la libertà religiosa abbiamo organizzato una tavola rotonda sulla libertà religiosa, dove abbiamo incontrato i rappresentanti di varie Chiese e denominazioni, nonché i rappresentanti delle organizzazioni per i diritti umani, per discutere la questione della libertà religiosa nei territori occupati. Perché abbiamo molte cose in comune e possiamo lavorare insieme per superare queste sfide. In particolare, la libertà di religione nei territori occupati è un argomento di cui ci occupiamo come documentatori di crimini di guerra. Ho documentato personalmente le persecuzioni religiose e non dimenticherò mai la storia di un pastore protestante che ha raccontato come era stato torturato e quello che aveva passato. E poiché nessuno ha una risposta semplice su come fermare questo, insieme, in collaborazione con diverse Chiese e denominazioni, cerchiamo di fare ciò che possiamo: non abbiamo la capacità di farla cessare, ma lavoriamo individualmente su ogni singolo caso, e questo significa aiutare persone specifiche, il che non è così poco, dopo tutto.
Cosa le lascerà questo incontro? Cosa porterà con sé in Ucraina?
Porterò con me la speranza. Spero davvero che Sua Santità mi abbia ascoltato e che venga in Ucraina nel prossimo futuro. Sono venuta qui sapendo che due volte alla settimana lui menziona l'Ucraina nei suoi appelli e che questa è una voce potente a nostro sostegno, soprattutto in quei Paesi con cui non abbiamo contatti: America Latina, Africa... Abbiamo da poco riconquistato la nostra indipendenza e non abbiamo contatti umani orizzontali consolidati in misura così ampia, e quindi la voce del Papa è estremamente importante qui. E sono grata che ogni settimana milioni di persone nel mondo sentano che il Papa sostiene l'Ucraina e prega per le persone in Ucraina. Quindi vado con speranza.
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